di Giuseppe Aloise
Thomas Piketty, lo studioso francese noto per il suo Best seller “Il Capitale nel XXI secolo”, definito da qualcuno il Marx dei tempi nostri, è tornato di attualità nel dibattito politico all’indomani del risultato elettorale del 4 marzo che ha segnato la disfatta della sinistra nel nostro paese.
Piketty, anche in suo recentissimo lavoro, addebita alla sinistra lo scarso interesse per le disuguaglianze che si sono prodotte nelle società occidentali, fra l’altro, minacciate ed impaurite dall’immigrazione.
I partiti cosiddetti populisti ed anti – casta sono diventati, così, il 4 marzo, lo sbocco naturale di una protesta che da tempo non trovava e non trova ascolto nella sinistra che Piketty non esita a definire “bramina”. La sinistra come casta dei bramini, l’aggregato sacerdotale della società induista.
Può sembrare esagerato ma anche il PD non sfugge a questa definizione. La mancata riflessione sulle cause dell’insuccesso elettorale testimonia, altresì, la spinta auto conservatrice dei gruppi dirigenti a qualsiasi livello e la trasmissione all’esterno dell’immagine di una dirigenza che rifiuta di fare i conti con i sommovimenti che si sono registrati nel tessuto socio-politico del nostro paese.
In tema di disuguaglianze, se ce ne fosse stato ancora bisogno, l’ISTAT ha di recente certificato il gap esistente tra le famiglie italiane per quel che riguarda la spesa complessiva per consumi. Non solo la disuguaglianza è di tipo territoriale (una famiglia calabrese spende circa 1.200 euro in meno di una famiglia lombarda) ma essa si è accentuata tra famiglie povere e famiglie ricche.
Le famiglie cosiddette agiate tendono a spendere sempre di più mentre le famiglie più povere tendono a spendere ancora di meno. Se si osserva la composizione della spesa emerge un altro dato allarmante: la spesa per consumi di cultura e istruzione è più bassa nelle zone svantaggiate.
L’Italia, dunque, è caratterizzata – e non da ora – da forti disuguaglianze che tendono ad accentuarsi: il gap non si restringe ma si allarga. La ricchezza tende sempre di più a concentrarsi mentre l’area della povertà si allarga.
Come rispondono i partiti di sinistra rispetto a questo fenomeno che pone una riflessione tipicamente di “sinistra”? L’insuccesso elettorale è figlio anche delle diffuse disuguaglianze.
A voler essere indulgenti, la risposta del PD è stata “burocratica”: rinuncia ad una riflessione di alto profilo sia pure lacerante ma voglia di riprodursi concentrandosi sulle modalità organizzative e statutarie entro le quali avviare il confronto. Assemblea o Congresso? Segretario con pieni poteri o traghettatore?
A livello locale, lo spettacolo è ancora più desolante: una sommatoria di risultati deludenti, compreso l’ultimo, non ha scalfito la rigidità degli apparati di comando! Il Pd viene ormai percepito come un partito annichilito e ripiegato sulla gestione di quel che resta del potere locale, a parte la storia tuttora esaltante di tanti amministratori locali.
Nelle regioni meridionali il problema delle disuguaglianze è ancora più acuto. Come osserva Nadia Urbinati, politologa ed insegnate alla Colombia Universtity, Piketty suggerisce di “coniugare la disuguaglianza al plurale: diseguaglianze di ricchezza, di reddito, di istruzione, di cultura, di genere, di età.” “Il paradosso è che queste disuguaglianze quanto più si sommano tanto più perdono i rappresentanti. “E’ evidente che le condizioni di svantaggio nel mezzogiorno si sommano e chi vive il disagio, di fatto, si trova in una condizione di esclusione cui fa riscontro l’assenza di un partito tradizionale di sinistra capace di farsi carico dei bisogni degli esclusi.
Di qui l’antipartitismo cosiddetto populista del “noi – popolo” contro “loro – establishment”.
Eppure all’indomani del risultato elettorale non era mancata qualche voce profondamente autocritica. L’ex Ministro Marco Minniti aveva descritto lo stato d’animo degli sconfitti, con una dotta citazione di un brano dell’ultima lettera di Vladimir Majakovskij prima del suo suicidio: “La barca dell’amore si è schiantata contro l’esistenza quotidiana”. Ma poi si era subito pentito della bella citazione, come ci racconta Francesco Merlo su Repubblica, perché” anche questo è stato sconfitto, il passato, un modo di stare al mondo, la sinistra che ha alle spalle i libri di Gramsci e di Majakovskij, un’antropologia percepita come aristocratica”.
La consapevolezza, almeno in qualcuno, della sconfitta di “un’antropologia percepita come aristocratica” avrebbe dovuto spingere il PD ad avviare un confronto congressuale sui grandi temi di attualità facendo appello a tutte forze interessate a ricostruire il tessuto ed i valori di un partito moderno e riformista attento ai bisogni degli esclusi e capace di rappresentare la paura e la rabbia, sentimenti ormai largamente diffusi nella nostra società.
Purtroppo c’è qualcuno all’interno della casta dei bramini che, sperando nell’insuccesso della maggioranza giallo verde, si illude che tutto possa tornare come prima magari operando qualche accorto maquillage.
Ma non siamo in India ove il sistema delle caste è intoccabile ed il cui radicamento non è stato seriamente messo in discussione neppure dall’opera riformatrice del Mahatma Gandhi: lo tsunami del 4 marzo ha, invece, prodotto da noi un mutamento irreversibile!