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Da Mormanno a Saracena in Calabria. La dittatura argentina in 20km.

di Mario Occhinero*

I centri abitati di Mormanno e Saracena, nel nord della Calabria, distano  tra loro meno di 20 km e in mezzo c’è San Basile,  se si percorre la strada statale, o Frascineto,  se si procede percorrendo l’autostrada.

Originari di Mormanno erano i nonni di Leopoldo Fortunato Galtieri, uno dei generali che si sono alternati al comando della dittatura argentina dal 1976 al 1983.

Il 24 marzo del 1976 Videla guidò il colpo di stato con cui Isabelita fu sostituita da una giunta militare, formata da lui stesso in rappresentanza dell’esercito, dall’ammiraglio Emilio Eduardo Massera per la marina e dal generale Orlando Ramón Agosti per l’aviazione, dando inizio al denominato Processo di Riorganizzazione Nazionale che aveva la finalità dell’applicazione delle ricette economiche neoliberiste delle quali beneficiavano solo alcuni interessi privati nazionali ed internazionali. Chi si opponeva doveva essere soppresso in quanto “contrario alla civiltà cristiana e occidentale”.

Il 29 marzo 1981 Jorge Rafael Videla viene deposto dal generale Roberto Eduardo Viola,  che, nominatosi  presidente a vita,  allontana ad uno ad uno dai centri di potere gli uomini fedeli al generale rimosso; il cambiamento alla guida del paese comunque non modifica la strategia basata sul terrore.

Il 22 dicembre 1981 il generale Viola viene deposto a sua volta  dal generale Leopoldo Galtieri. Il regime comandato dal generale Galtieri si distinse per una recrudescenza della repressione e, oltre alla repressione di 5 manifestazioni di cui tre organizzate dalle madri dei desaparecidos, 9.000 persone trovarono la morte nel periodo tra il 22 dicembre 1981 al 18 giugno 1982, data delle sue dimissioni a seguito della sconfitta nella guerra delle isole Malvinas.

Il conflitto contro il Regno Unito per il possesso delle isole Malvinas fu pensato allo scopo di risollevare il consenso popolare nei confronti della Giunta militare che, anche a causa della crisi economica che aveva investito il paese, stava progressivamente diminuendo, ma la sconfitta patita dall’Argentina nel breve conflitto (2 aprile-14 giugno 1982 con 632 vittime) indusse il generale a presentare il 18 giugno le proprie dimissioni.

Dimessosi il generale Galtieri il suo posto fu preso il 1º luglio 1982 dal generale Reynaldo Bignone, il quale, a fronte di sempre crescenti opposizioni, anche in campo internazionale, alla dittatura militare fu costretto, il 10 dicembre 1983 ad indire libere elezioni,  dalle quali uscì eletto il radicale Raul Alfonsin.

Alla fine della dittatura si contano  30.000 cittadini desaparecidos.

Tre erano originari di San Basile.

Andrés Humberto Bellizzi Bellizzi scompare il 19 aprile  del 1977. Era nato  in Uruguay,  dove risiedevano i suoi genitori, entrambi di San Basile,  ma si era trasferito in Argentina dopo dell’avvento della dittatura in Uruguay. Di professione grafico pubblicitario, si attivava per il ripristino della democrazia nel suo paese. Si presume sia stato portato in uno dei centri clandestini di detenzione dove ad interrogare i detenuti erano gli ufficiali dell’esercito uruguaiano. Attualmente, è in corso un processo a Roma, denominato Plan Condor,  in favore di 23 vittime di origine italiana, che vede  35 imputati rinviati a giudizio. Tra i casi anche quello di Andrés Humberto Bellizzi Bellizzi.

Hugo Alberto Scutari Bellizzi, nato in Argentina, figlio di padre di Frascineto e madre di San Basile, viene sequestrato il 5 agosto 1977,  lo stesso giorno della sua compagna Delia Barrera. Era impiegato di banca e delegato sindacale. Lui è ancora “scomparso”. Lei è stata liberata dopo di alcuni mesi. Il giorno prima del “trasferimento finale” Hugo chiese a Delia di “essere forte e di non dimenticarlo”.

Francisco Genaro Scutari Bellizzi, (fratello di Hugo)   nato in Argentina, figlio di padre di Frascineto e madre di San Basile viene sequestrato il 18 ottobre 1978 ed è ancora “scomparso”.  Una sopravvissuta, detenuta nel Centro di Detenzione, El Olimpo, raccontò che Francisco fu portato lì, ma, non seppe dire se vi fosse arrivato vivo o morto. Francisco coniugava gli studi universitari in fisica e matematica con il lavoro e la militanza politica. Da ricordare che per 10 giorni nello stesso campo di detenzione, nello stesso periodo, sono stati sequestrati anche entrambi i genitori ed il fratello minore Horacio Mario.

Gli intrecci affaristici tra l’Italia di Licio Gelli e l’Argentina dei militari erano di tale rilevanza che né il governo italiano né l’ambasciata si interessarono  dello sterminio in corso. Per questa ragione, si sospetta fortemente che alcuni dei 500 neonati sottratti alle proprie madri prima di essere uccise possano vivere attualmente in Italia. Attualmente sono  in essere delle iniziative sia governative che non governative finalizzate alla loro individuazione.

Molti argentini di origine italiana, sapendo di essere ricercati o controllati dai militari, cercarono rifugio dopo il colpo di Stato nella sede dell’ambasciata italiana, che però chiuse loro la porta in faccia, e subito dopo si recarono al consolato, che avrebbe dovuto fare la stessa cosa, se non fosse che li trovarono a riceverli il giovane vice console Enrico Calamai,  che invece decise di aiutarli. Calamai, fornendo documenti in tempi record riuscì a far espatriare fino al giorno del suo trasferimento nel 1977 moltissimi argentini di origine italiana. Per attuare i piani verso la salvezza, che comprendeva il contatto con il perseguitato, la protezione, e l’accompagnamento anche oltre il confine,  operava insieme ad altre due persone: il corrispondente del Corriere della Sera Giangiacomo Foà ed il responsabile del Patronato Inca-Cgil a Buenos Aires Filippo Di Benedetto.

Filippo Di Benedetto era nato a Saracena, città nella quale è stato sindaco tra il 1947 ed il 1949. In Argentina era emigrato nel 1952, a San Justo, nell’hinterland di Buenos Aires, dove ha sempre continuato a svolgere la sua professione di falegname.

Incurante dei gravi pericoli che correva, Filippo Di Benedetto si è esposto personalmente per salvare la vita a decine di suoi connazionali ricercati.

Purtroppo non riuscì a salvare la figlia di suo fratello Orlando né il marito di questa. Domenica Di Benedetto  viene torturata barbaramente e il marito, Eduardo Czainik, ebreo comunista originario dell’est Europa, non riuscirà a scampare al sequestro e finirà, insieme ad altri trentamila, sulla fredda lista dei desaparecidos.

Essere ebreo era un ulteriore aggravante: un sopravvissuto ebreo del centro di detenzione clandestina  “Club atlético”, raccontò come un repressore, che si faceva chiamare Kung-Fu, si facesse portare ogni giorno tre o quattro detenuti ebrei, con i quali si esercitava nelle arti marziali. La Relazione del Nunca Más raccontò addirittura di come alcuni ebrei  fossero costretti  sul tavolo di tortura, ad alzare il braccio destro, in onore di Hitler, o a subire l’onta di vedersi  disegnate con la vernice, sui loro corpi nudi, le svastiche.

Nella guerra delle Malvinas, incominciata per volontà di Galtieri, dove l’esercito argentino combatté  in condizioni di enorme inferiorità di equipaggiamento contro un esercito ben addestrato che inoltre si serviva di mercenari Gurkha, al fronte fu inviato, il figlio maggiore di Filippo di Benedetto, che fortunatamente però tornò a casa.

Leopoldo Galtieri nel 1985 fu processato da una corte militare per violazione dei diritti umani e, nel mese di maggio dell’anno seguente, venne condannato all’ergastolo. Rimase in prigione fino al 1991, anno in cui il presidente Carlos Menem (sotto la pressione dei militari) gli concesse l’indulto, liberandolo da ogni accusa.

Nel luglio 2002 fu nuovamente imputato in accuse civili riguardo al rapimento di bambini, la scomparsa di 18 simpatizzanti di sinistra verso la fine degli anni settanta, e la scomparsa di tre cittadini spagnoli risalente allo stesso periodo. A processo concluso, fu posto agli arresti domiciliari.

Malato di cancro al pancreas, morì per un attacco di cuore il 12 gennaio 2003, all’età di 76 anni.

Filippo di Benedetto la sua onestà l’ha dimostrata vivendo l’umile vita dell’emigrante, rimanendo quello che è sempre stato: povero e onesto. Muore il 3 settembre del 2001 all’età di 79 anni.

* Nato in Uruguay nel 1968, si è trasferito in Italia nel 1988.  Ha militato nel Frente Amplio nell’ultimo periodo della dittatura uruguaiana e nei primi anni di democrazia. Dagli anni 90 è delegato sindacale CGIL, ricoprendo da allora incarichi negli organismi direttivi. Attualmente è membro delle associazioni di diritti umani “24marzo onlus” e “Osservatorio Uruguay”.

Note:

– Luigi Paternostro, Le Rondini di Mormanno – Breve Storia dell’Emigrazione paesana (2013, web edition)

– Rossella Tallerico,  Impossibile gridare si ulula. Storie di desaparecidos italo–argentini (Tesi di Laurea in Storia Moderna e Contemporanea)

– Enrico Calamai , Niente asilo politico, (Feltrinelli, 2006)

– Innocenzo Alfano, La crisi infinita, (Aracne, 2009)

–  Luigi Pandolfi, Filippo di Benedetto: Lo Schindler calabrese, Calabriaonweb.it

Scritto da Redazione

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