La socialista Rosa Luxemburg sosteneva che il primo atto rivoluzionario è chiamare le cose con il loro nome. Ebbene noi stiamo vivendo un periodo in cui lo sfruttamento del lavoro, delle persone e della natura ha precedenti solo in epoche remote.
Nessuna ripresa è alle porte checché ne dica il Ministro dell’Economia Saccomanni. Creare false speranze è illusorio. Chi ha perso il lavoro quasi certamente non lo ritroverà a breve, chi ce l’ha ancora rischia di perderlo o di finire in cassa integrazione ed i giovani, quelli più fortunati, si dovranno accontentare di qualche contratto saltuario a progetto. La vera questione ormai è la sopravvivenza. I “sacerdoti” della crescita e del guadagno ad ogni costo hanno creato l’uomo precario, indifeso, solo e ricattabile di fronte a pretese sempre più esigenti. Il lavoro è diventato un totem, dove sacrificare le lavoratrici e i lavoratori. Per non perderlo bisogna rinunciare definitivamente ai diritti e soprattutto alla propria dignità. Non basta lavorare di più con uno stipendio ridotto, bisogna essere sempre disponibili, a tutte le ore, giorni di festa compresi. Quindi per non perdere quel minimo di sostentamento economico molti accettano le nuove condizioni peggiorative, spesso sottoscritte da sindacati collusi. Per giustificare le misure “lacrime e sangue” i padroni e il governo delle banche ripetono il solito ritornello: “è colpa della crisi”, magari versando lacrime di coccodrillo. In realtà la crisi non è un incidente di percorso ma un piano organizzato, preciso, l’ultima trovata di un capitalismo vorace alla ricerca di nuovi profitti. Se una volta il capitalismo cercava in Africa e nelle Indie terre vergini per imporre l’ideologia del mercato, adesso si rivolge all’interno, in particolare verso il Sud Europa. L’imperativo è privatizzare, liberalizzare, saccheggiare (anche i risparmi privati dei cittadini), smantellare tutte le forme di welfare e persino le Costituzioni, considerate un ingombro. La Grecia con alle spalle sei anni di recessione e quattro di austerity ha già conosciuto questo mostro, chiamato Troika (Fondo Monetario Internazionale, Banca centrale europea, Commissione europea), avido di sacrifici umani da far impallidire il mito classico del Minotauro. Ecco alcuni dati riportati nel reportage “Profilo greco” a cura di Paola Mirenda, pubblicato dal settimanale Left n°34-2013: Se la disoccupazione è al 27 per cento, l’indice di povertà tra chi lavora è del 21,4 per cento (contro una media Ue del 16,1): questo significa che 2,3 milioni di persone guadagnano meno del 60 per cento del salario medio. […] lo stipendio medio dei greci corrisponde a quello cinese, e se volessero potrebbero far concorrenza sia agli asiatici che agli europei dell’est. Le armi della Troika si chiamano fiscal compact, pareggio di bilancio, MES, patto di stabilità. Gli amici del “mostro” sono i vari governi nazionali (con sovranità limitata), compreso quello italiano. Il governo delle “larghe intese” è nato dopo vent’anni di finto scontro tra due forze politiche simili, conniventi. Non si salva nemmeno l’inutile, inconcludente e vuota opposizione del Movimento 5 Stelle, parte integrante del teatrino della politica. Nel M5S convivono troppe storie e sensibilità personali, dalle tendenze liberali a quelle radicali, inoltre il loro problema più urgente sembra essere quello degli scontrini della buvette. Che fare dunque? Innanzitutto non bisogna rassegnarsi ma passare al contrattacco, l’individualismo deve lasciare il passo all’azione collettiva, le lotte devono unirsi e collegarsi ai movimenti di protesta mondiali. Dopo anni di indottrinamento del pensiero unico è difficile sbarazzarsi dalla convinzione che questo sia il solo mondo possibile.
Eppure in Grecia sono nate cooperative solidali; gruppi di acquisto popolare per combattere il caro-vita; i cittadini si organizzano per impedire gli sfratti causa morosità; gli operai occupano le fabbriche e rimettono in moto la produzione sotto il loro controllo; si pratica il mutualismo nel settore della sanità laddove il diritto alla salute non è più garantito, con ambulatori e cliniche in cui i medici offrono cure gratuite per chi non può permettersi l’assicurazione sanitaria pubblica. Nel libro “Un’estate in Grecia. 4.000 km ai confini dell’Europa nell’anno della crisi” (Chiarelettere, 2013), un viaggio per conoscere l’Europa dei popoli, non quella delle banche centrali, l’autore, il giornalista Giuseppe Ciulla, chiede ad una dottoressa il motivo del suo impegno a favore di un’umanità emarginata, impoverita: “Perché?” – domando. Lei sorride sotto un manto di capelli neri e risponde: “Philotimo”. Che cosa vuol dire? “Non si può tradurre in inglese. E’ l’anima della Grecia, lo spirito che ci unisce dall’era delle città-Stato, il nostro sigillo”. Impiegherò tutto il viaggio a capire bene il significato della parola philotimo. In queste quattro sillabe musicali e antiche c’è un mix di orgoglio nazionale e solidarietà. “Significa fare le cose per gli altri sapendo che farlo è importante anche per se stessi – mi dice Julia – è una cosa solo greca”. Philotimo è un sentimento, “is a Greek feeling” scandisce la donna, è ciò che la spinge ad aiutare questa gente e, allo stesso tempo, la rende orgogliosa di farlo, la fa sentire parte di un popolo. Non è carità spicciola. La fierezza di aver fatto qualcosa di utile è pari al gesto in sé. Chi fa può dire di essere greco, chi non fa non lo è. Forse è questa l’Europa che cerco. Quella che sogno nelle calde notti ateniesi. Sono all’origine delle parole generosità e nazione, nel cuore laico di un paese che fu l’embrione di un continente (pp. 27, 28). E ancora le lotte per la difesa dei beni comuni, contro le privatizzazioni, le discariche e le gradi opere, settori spesso controllati dalla criminalità organizzata e dalle clientele. Immaginare e costruire nuove forme di lotta e convivenza, questa è la via da seguire. Lo scienziato Albert Einstein diceva: “Tutti sanno che una cosa è impossibile da realizzare, finché arriva uno sprovveduto che non lo sa e la inventa”.
di Emanuele Bellato, Direttore de il popolo Veneto