La tragedia attuale, quella che condanna milioni di persone in carne ed ossa ad una vita di stenti ed inquietudini, viaggia sulle ali di un dogma di fede che tutti i peggiori lestofanti in forza al mainstream ripetono in coro (e a pagamento): i mercati non capirebbero. Prima di approfondire l’effettivo grado di empatia che i suddetti mercati provano nei confronti dei comuni mortali, sarebbe forse il caso di sciogliere un paio di oscuri enigmi raramente meritevoli di seria e puntuale trattazione: 1) Chi cazzo sono “i mercati”? 2) Per che cazzo la mia vita deve dipendere dagli umori degli stessi? Difficilmente troverete mai un giornalista disposto ad avanzare in diretta domande di questo tipo al cospetto di politicanti alla Matteo Renzio di soloni illuminati alla Sergio Romano.
Nel caso lo facessero, infatti, correrebbero il concreto rischio di assistere al noto rito dello “stracciamento delle vesti” già in voga fin dai tempi di Caifa. Tutti sanno che discutere il dogma significa abbracciare la strada dell’eresia, dell’empietà e della perversione. Ma siccome noi de Il Moralista sappiamo che solo i grandi peccatori possono trasfigurarsi in grandi santi, proseguiamo dritti per la nostra strada sprezzanti del pericolo. Quindi, ricapitolando, chi sono questi benedetti “mercati”? Proviamo a fare luce nelle tenebre usando il ragionamento.
Considerato che l’ambizione massima che ci unisce e ci conforta è quella di vedere i mercati finalmente “rassicurati”, è plausibile ritenere con ragionevole certezza due cose: che i mercati provano sentimenti, e che i mercati agiscono su base razionale. Ora, queste due attitudini mal si conciliano con l’alone di neutra freddezza che accompagna la pubblica rappresentazione dei “mercati”. Il patos, l’inquietudine, la speranza, la fiducia e così via sono categorie che attengono perlopiù alla dimensione degli uomini. Ma, guarda caso, chi utilizza strumentalmente lo spauracchio del mercato inquieto non correda mai la contrita denuncia di nomi, sigle o volti. Perché? Perché un dioscuro fintamente immateriale induce nel popolino un rispetto atavico e ossequioso, identico a quello che consigliava alle popolazioni primitive di esperire periodici sacrifici nella infantile e sciocca speranza di rabbonire divinità capricciose e imperscrutabili. Chi non ha paura dell’ira degli dei dell’olimpo, però, dovrebbe quindi preliminarmente sforzarsi di tradurre in termini più visibili e terreni il concetto stesso di “mercati”. Uscendo dal mythos, la prima cosa pratica che mi viene in mente riguarda la necessità dello Stato italiano di piazzare i titoli sul mercato. Da quali soggetti è composto questo mercato di potenziali acquirenti? Da Bce, Banca d’Italia, assicurazioni, investitori esteri e famiglie (clicca per leggere). Quindi è ora possibile dare un volto più preciso ai fantomatici mercati, termine generico che racchiude una molteplicità di soggetti potenzialmente interessati all’acquisto di titoli. Bene, a questo punto riflettiamo sulla bontà o meno delle fesserie più in voga del momento.
Fesseria numero 1: “Se i titoli restano invenduti a causa della mancata fiducia che i mercati nutrono nei confronti dello Stato che emette i titoli si rischia la catastrofe”. Fesseria numero 2: “ Il consolidamento fiscale e le riforme strutturali rappresentano l’unico modo per rassicurare i mercati circa la solvibilità dello Stato che emette titoli”. Decidere di affidare le sorti di uno Stato sovrano ai capricci di sceicchi, tecnocrati, banchieri d’affari o speculatori di professione è una scelta politica, mai una necessità. Nelle tavole di Mosè tale argomento non è infatti trattato. Fino al 1981 in Italia il Tesoro era tutt’uno con la Banca d’Italia, per cui lo Stato provvedeva in autonomia a finanziare direttamente la sua spesa, senza dover andare in giro per il mondo a mendicare un piatto di lenticchie. Anche l’odierna Bce, in presenza di volontà politica, avrebbe potuto fare nel recente passato simili operazioni.
Non le ha fatte sapendo che solo per il tramite della “sofferenza” e della “paura” (Padoan docet) i popoli si sarebbero infine rassegnati ad accettare l’erosione continua e violenta di salari, stato sociale e diritti. Tutto chiaro? Nuova questione. Quando Letta prima e Renzi ora vanno in giro nelle capitali finanziarie del pianeta a chiedere ai magnati globali di investire nell’Italia che accelera sulla strada del cambiamento, secondo voi, di quale tipo di messaggio si fanno interpreti e corifei? Ve lo dico io. Di quello che affibbia al capriccio del privato il compito di assicurare una qualità di vita dignitosa ai milioni di disoccupati volutamente creati, confinando il ruolo dei pubblici poteri all’interno di un angusto recinto fatto di complicità e irrilevanza. Per figuri come Monti, Letta e Renzi, il compito principale della politica consiste nel lisciare il pelo ai plutocrati. Gli stessi che, da decenni a questa parte, chiedono, pretendono e ottengono sempre le stesse cose: taglio dei salari, precarietà, niente welfare e niente diritti. Le istituzioni pubbliche sono occupate militarmente da uomini che perseguono interessi privati e privatissimi (tutti poi ricompensati a fine mandato con ruoli e incarichi presso quelle banche o aziende che hanno mellifluamente prima servito).
In conclusione è ora possibile rispondere pure alla seconda domanda formulata in apertura di articolo: Per che cazzo la mia vita deve dipendere dagli umori dei mercati? Perché non mi sono preso la briga di leggere, di capire, di studiare e di contestare i falsi e miserabili sicari dell’informazione che per interesse e meschinità obnubilano anche la mia mente. Aprite gli occhi, unitevi ed organizzatevi. Chi è causa del suo mal pianga se stesso.
Francesco Maria Toscano
da: ilmoralista.it