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Fusione tra comuni: conta la partecipazione dei cittadini

Fusione tra comuni. Una riflessione a partire dalla specificità di alcune esperienze e discussioni calabresi. 

di Antonia Romano*

Durante il lockdown, attraverso la creazione di un gruppo fb dedicato, è tornato alla ribalta il tema della fusione di quattro comuni, San Lorenzo del Vallo, Spezzano Albanese, Tarsia, Terranova da Sibari e di recente, agli inizi della campagna elettorale per le amministrative di Castrovillari, c’è chi parla della costruzione di una città del Pollino, che nascerebbe dalla fusione di più comuni.

Tutto ciò è molto interessante dal punto di vista politico e dal punto di vista sociale, ma è anche molto difficile e in un certo senso pericoloso.

Antonia Romano

Conosciamo bene il percorso della fusione di Corigliano Calabro e di Rossano Calabro: è stato un lungo cammino e il risultato, sicuramente straordinario perché ha determinato la formazione della terza città della Calabria per popolazione residente e del comune più esteso della regione, facendo della nuova cittadina un polo, potenziale importantissimo centro di riferimento per l’area della sibaritide e del Pollino in grado di sottrarre a Cosenza una grossa fetta di potere politico, forse ha deluso alcune aspettative, forse sarebbe stato diverso se si fossero realizzati alcuni aspetti fondamentali.

Per le possibili fusioni che potrebbero interessare Castrovillari e il territorio del Pollino, Spezzano Albanese e i comuni limitrofi, ma il discorso vale per ogni tentativo di fusione, penso che punto di partenza del percorso debba essere innanzitutto la costituzione di comitati di cittadine e cittadini, partecipanti come singole persone o come appartenenti alla società civile organizzata a ogni fase di progettazione. Ogni comitato dovrebbe essere caratterizzato da trasversalità e orizzontalità ed essere libero da eventuali strumentalizzazioni di partito o di eventuali carrieristi del poltronismo locale. Né tantomeno può essere ridotto a collettore di voti favorevoli in caso di referendum per la fusione.

Un ruolo fondamentale dovrebbe essere svolto dalle associazioni e di certo un avvio di percorso non può prescindere da assemblee pubbliche in presenza  e dallo studio di materiali presenti in letteratura, per la ricerca di buone pratiche di fusione in altri contesti, per l’analisi dei punti di forza e dei punti di debolezza delle stesse, per lo studio puntuale e ad ampio spettro del contesto locale in modo da cogliere l’occasione della fusione per valorizzarne le risorse già presenti e costruire valori aggiunti a partire dai singoli contesti urbani, che non devono perdere le loro peculiarità anche alla luce della presenza di comuni arbereshe, la cui cultura e le cui tradizioni devono essere tutelate come patrimonio importante e irrinunciabile per tutta la comunità e che invece corrono il rischio di essere disperse nelle fusioni con comuni non arbreshe.

L’attivazione di processi partecipativi per la progettazione e rigenerazione urbana diventa la chiave di volta perché le fusioni non siano vissute come un pericoloso allontanamento dei luoghi delle decisioni politiche dalla popolazione.

In tutti i comuni il periodo terribile del lockdown ha determinato l’avvicinamento della popolazione al proprio sindaco o alla propria sindaca, indipendentemente dall’appartenenza politica. In quel momento per ogni comunità urbana il sindaco o la sindaca era la garanzia della tutela della propria salute, della propria vita, ancor di più in una regione, la Calabria, dove la sanità pubblica versa in uno stato di degrado, inefficienza e abbandono da terzo mondo.

Nei piccoli comuni, nei paesi dove ci si conosce un po’ tutti e tutte, incontrare il proprio sindaco o la propria sindaca per strada, potersi parlare direttamente, conoscere di persona amministratori e amministratrici dà quella percezione di prossimità che costituisce il legame più forte tra istituzioni e cittadinanza. Nessuna istituzione politico amministrativa come il Comune è così vicino ai bisogni reali della popolazione del luogo. Nessun luogo come il Comune può essere considerato più adatto a sperimentazioni di laboratori di partecipazione e alla ricerca di forme di democrazia diretta che integrino la democrazia rappresentativa.

Ecco perché nel costruire un nuovo Comune dalla fusione di più Comuni, è indispensabile non perdere i luoghi di prossimità, è indispensabile, prima ancora di arrivare alla fusione, alla decisione del nome, alla progettazione delle attività da finanziare con i fondi che lo Stato mette a disposizione per le fusioni, progettare in ogni singolo Comune un luogo, che sia una circoscrizione, una municipalità, un laboratorio di cittadinanza, dove trovare il riferimento di prossimità che si perde se il proprio Comune si fonde in una nuova più vasta realtà. E dovranno essere questi luoghi di prossimità i laboratori di democrazia partecipata, all’interno dei quali i cittadini e le cittadine potranno elaborare proposte coerenti con i bisogni reali del proprio piccolo contesto.

Oggi più che mai è fondamentale promuovere la cultura del dibattito, la coprogettazione tra pari, la partecipazione attiva e propositiva di ogni persona interessata, la progettazione di luoghi di prossimità e laboratori di democrazia dal basso, utilizzando gli strumenti di partecipazione già previsti dalle normative e che dovrebbero entrare a pieno titolo negli statuto degli eventuali nuovi comuni.

La costituzione di nuovi comuni, che nascono dalla fusione di più paesi, non può prescindere inoltre, a mio parere, dalla riconcettualizzazione della resilienza urbana, facendo leva su contributi scientifici provenienti, in particolare, dal campo dell’ecologia, secondo un approccio socio-ecologico, capace di riconoscere la forte interdipendenza tra fattori sociali, fattori ecologici e fattori economici nel funzionamento di un dato ecosistema urbano. La fusione dei comuni dovrà innanzitutto rispondere alla necessità emersa nel mondo come dirompente negli ultimi mesi, di reagire a shock e stress esterni attraverso la costruzione e l’attivazione di una capacità adattativa durevole. Dovrà fondarsi sulla costruzione di un nuovo “metabolismo urbano” che la disintermediazione impone parta dalla partecipazione attiva e consapevole delle persone. Appare infatti evidente che la nostra società, globalizzata e informatizzata fino a diventare iperconnessa, si caratterizzi per la disintermediazione favorita dalla sfiducia che si nutre verso rappresentanti della politica, dalla crisi profonda della democrazia rappresentativa e dalla grande rivoluzione che è stata l’avvento di internet e lo sviluppo dei social network.

La costituzione di nuovi Comuni dalla fusione di Comuni più piccoli e limitrofi non può comunque evitare di fondarsi sulla tutela dell’ambiente come emergenza prioritaria a partire dalla quale si innescano a cascata la maggior parte delle problematiche che compromettono la qualità della vita, la salute e la stessa sopravvivenza delle persone.

Le gravi emergenze climatiche, la crisi ecologica e ambientale, culminata per ora nella pandemia che ci sta affliggendo, ci impongono la ridefinizione del senso di resilienza urbana e l’interconnessione di campi disciplinari anche molto distanti tra loro per costruire nuove politiche urbane che superino i principi di un’economia di profitto e di mercato neoliberista, considerato ormai fortemente in crisi, per imboccare la strada dell’economia circolare e solidale, dell’agricoltura sostenibile a sostegno di piccoli produttori locali, della promozione di artigianato e commercio locale con riscoperta del valore sociale dei negozi di vicinato.

La fusione dei comuni non può prescindere dalla tutela degli equilibri ecologici e anche economici, a sostegno delle produzioni locali e dalla difesa del suolo, con la consapevolezza che la salvaguardia di ulteriore consumo di suolo con la vastissima attività settoriale indispensabile a recuperare, migliorare energeticamente, mettere in sicurezza il patrimonio edilizio obsoleto esistente, mettere in sicurezza dal punto di vista idrogeologico il territorio, proseguire con opere di ammodernamento e ristrutturazione di edifici e abitazioni, favorendo anche l’adeguamento tecnologico dei nuovi comuni sono occasioni importanti anche in termini di opportunità di lavoro.

Perché tutto ciò diventi patrimonio collettivo, perché queste istanze siano condivise e diventino caratterizzanti per i nuovi Comuni, perché le fusioni abbiano come finalità le ricadute positive sulle comunità locali in termini soprattutto sociali, economici e ambientali e non risultino invece un espediente per accaparrarsi finanziamenti statali da utilizzare per ulteriori grandi inutili opere a vantaggio di pochi e per risparmiare sul personale impiegato e sugli amministratori, bisogna investire molto nella promozione di percorsi di partecipazione che richiedono tempi molto lunghi.

È per questo che non è sufficiente leggere in qualche programma politico per le amministrative di Castrovillari che si realizzerà la fusione di Comuni limitrofi. È necessario che chi si fa promotore di questa importante iniziativa spieghi quale percorso intende intraprendere per giungere al risultato importante della costituzione della città del Pollino, ammesso che ci siano le basi perché ciò accada.

È per questo che nessun candidato sindaco e nessuna candidata sindaca dovrebbe esimersi dall’analizzare la questione e dal prendere in considerazione la fusione condividendo con potenziali elettori e potenziali elettrici la propria idea di partecipazione alla progettazione e alla rigenerazione urbana anche in questa direzione.

*Presidente dell’Associazione per un’Europa dei Popoli

 

Scritto da Redazione

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