Quando al Procuratore capo di Cremona, cronologicamente titolare della prima indagine su scommesse e partite truccate due anni e mezzo fa, si drizzarono verbalmente i capelli in testa, ci fu un po’ di clamore e molto menefreghismo. Poi fu la volta del Capo della Polizia, lo scomparso Manganelli, che anticipò in una conferenza stampa dell’Interpol scossoni formidabili per il mondo pallonaro: fu rubricato come qualcosa di “pericolosamente allarmistico”. Infine lo stesso Di Martino, di ieri e di oggi, disse provocatoriamente che forse sarebbe stato meglio “pensare a un’amnistia”, e il coro si levò alto e solenne solo per stigmatizzare che non era certo lui, un magistrato inquirente, a poter parlare così. Sto dicendo o meglio ripetendo da un pezzo (la preistoria del Camerun…) che il bubbone delle scommesse e del calcio truccato non è qualcosa di sorprendente: nell’ambiente lo conoscono e ne parlano tutti, qualcuno coinvolto direttamente, ma di certo tutti (do you remember Farina?) condizionati da un’omertà che è parte integrante del sistema e ne favorisce lo sviluppo più sordido.
Adesso fanno notizia i nomi di Gattuso e di Brocchi, ovviamente sgranando tutto il rosario della presunzione di innocenza: segnalo appena di sfuggita che “curiosamente” si tratta di due che hanno smesso, e che tutte le volte che le inchieste hanno toccato o sfiorato nomi davvero importanti perché di giocatori o allenatori in piena attività, come per magia le informazioni si sono rarefatte, il sistema si è chiuso a riccio, la giustizia sportiva che ne garantisce la cornice sbreccata ha emesso verdetti “compatibili” con la tolleranza del sistema stesso e mai, dico mai, c’è stata un’autentica volontà politica né politico-sportiva di prendere il toro per le corna.
Come? Con norme più severe e una credibilità ed efficienza della giustizia sportiva non subalterna al potere esecutivo della medesima Rotondocrazia di cui è “costretta” a occuparsi per “colpa” delle indagini della giustizia ordinaria. Detto ancora più solarmente, “questo” calcio non si può permettere un reale repulisti e un’iniezione beneaugurante di giustizia e quindi di etica. Anzi: non credo di andare molto lontano dal vero se ipotizzo che il gigantesco macchinario delle scommesse con origine logistica asiatica viene trattato da “alibi”, alla lettera “un altro luogo”, diverso da dove in Italia si combinano pasticci e si commettono reati. Cosa volete che facciamo, sembrano dire parole e sguardi di coloro che da noi sarebbero preposti al corretto funzionamento del nostro calcio, è una “faccenda internazionale”, dunque stiamo a guardare. E così, che ci fosse un famoso giocatore della Nazionale che aveva scommesso 500 mila euro su una sola partita anni fa era una voce che girava dappertutto o quasi. E i tesserati non possono scommettere anche se in tantissimi lo fanno per interposte persone, e nessuno scommette cifre così se non è certo del risultato… E mi ricordo che anni fa “Ringhio” Gattuso era lo spot della sua Calabria in un Paese in cui Rosy Canale sta facendo la fine che sapete (da testimonial antimafia ad arrestata).
Insomma, questo calcio marcio in cui (molti tra) i giocatori famosi pensano “e che sono più stupido io, la carriera è così breve…” e invece (molti tra) i pedatori artigianali delle serie inferiori con club asfissiati economicamente si arrangiano per sopravvivere, questo calcio marcio pare stia generalmente bene così e l’ennesimo filone d’inchiesta anche se con nomi eclatanti, squadre importanti, una montagna di partite e una tempistica allucinante (fino alla fine dello scorso campionato e presumibilmente anche all’inizio di quello in corso) sarà poco più del “marziano di Flaiano”. Peccato, perché se da un lato la tabe-scommesse ha già ucciso l’ippica e scarnificato la boxe, al calcio ha semplicemente riservato una mutazione genetica: a volte (quante?) è una recita, e basta.
di Oliviero Beha – http://www.olivierobeha.it