Si lasciano, tra lacrime, crolli di stanchezza, platee vocianti, urla di tradimento. Ma è una rottura distante anni luce dallo strappo violento che allontanò nel 2010 Gianfranco Fini da Silvio Berlusconi. Quello tra Il Cavaliere e Angelino Alfano è un chiarimento all’insegna dell’ambiguita’, non della chiarezza, un addio che assomiglia tanto a un arrivederci, un gioco di apparenze e di sottintesi. Lo dice lo stesso Berlusconi, nel discorso della mattina al Consiglio nazionale della rinata Forza Italia: “Il gruppo che nasce oggi apparirà come un sostegno alla sinistra, ma dovrà per forza fare parte in futuro della coalizione dei moderati”. E lo ripete l’ex delfino Alfano nella accaldata conferenza stampa del pomeriggio alla sala stampa estera, per paradosso davanti al palazzo di via dell’Umiltà che è stato fino a due mesi fa sede del Pdl: “In futuro saremo accanto a Forza Italia in una grandissima coalizione che superi la sinistra”. Il punto, come sempre in politica, è quanto è lontano il futuro, e chi guiderà la partita.
La lunga mattina del funerale di Forza Italia si apre al Palazzo dei congressi dell’Eur con una compagnia variopinta. Vecchie glorie come Antonio Martino e nuove creature mediatiche, le ragazze con gli zatteroni che ripetono a tutti di studiare alla Luiss e i fratelli Zappacosta che cosi piccoli hanno già imparato a inveire sui giornalisti, “state dando un pessimo spettacolo”, loro invece si che se ne intendono. Arriva Marcello Dell’Utri, il fondatore della vecchia Forza Italia nella sala Botticelli con gli uomini di Publitalia, la nuova nasce con il suo concorso esterno. E poi la Biancofiore, la Santanche, la Santelli unica sottosegretaria presente in autoblu, i campani guidati da Mara Carfagna scendono da un pullman chiamato Angelino…
Angelino non lo invoca nessuno, neppure Berlusconi lo nomina. Anche se diretto a lui è l’affondo più duro, “difficile sedere allo stesso tavolo del Consiglio dei ministri con il Pd che vuole mandarmi via dal Parlamento”, e la platea si infiamma, grida la parola troppo spesso trattenuta” traditori! “Non fate dichiarazioni nei loro confronti, non allargate il solco”, spegne l’incendio Berlusconi. Pur di tenere con sè i transfughi, si mette la mano sul cuore, avrebbe accettato un coordinamento con “tutte le aree rappresentate”, il caminetto delle odiate correnti. Mai visto così in difficoltà, “i club si chiameranno Forza Silvio, ne ho bisogno”, ammette, “qui mancano quelli che si sono allontanati per motivi politici verso un’altra vita”, si fa sfuggire a un certo punto, l’ombra del tempo che passa, della fine, della morte, che appare alla fine come un lampo sul viso di Berlusconi, costretto a interrompere il discorso.
Il futuro, al contrario, è la carta che può giocare Alfano, finora l’unica. “Siamo noi il centrodestra del futuro”, snocciola svelto come al solito il leader del Nuovo centro destra. Come una scioglilingua o una sciarada politica, “vogliamo un nuovo grande centrodestra, di cui il nuovo centrodestra che nasce oggi sarà parte”. Il lodo Alfano? Mai esistito. La manifestazione dei deputati del Pdl al tribunale di Milano? “Cose del passato, noi siamo il futuro”, giura l’ex delfino. Che vanta: “Sono stato l’unico segretario del Pdl e ho raggiunto un milione di aderenti”. Di un partito chiuso e defunto senza rimpianti da una parte e dall’altra. Sono soddisfazioni.
Per il resto è impossibile trovare differenze tra Silvio e Angelino. D’accordo sull’Europa, su cui Berlusconi tiene un passaggio del suo discorso non banale, già proteso a recuperare voti no euro persi in direzione Grillo. “L’austerità è folle e premia solo la Germania”, dice l’ex premier. “Crediamo nell’Europa, ma non siamo eurotappetini”, fa eco il vice-premier. Affetto, paragoni paterni, “lui mi ha dato tanto, io glio ho dato tutto”, Spike Lee citato a piene mani, “abbiamo fatto la cosa giusta”…Neppure uno iota di distanza tra i due su giustizi e voto sulla decadenza di Berlusconi dal Senato. Anche sul destino del governo Letta, in fondo, Forza Italia non esce per ora dalla maggioranza, resta in attesa, nelle prossime settimane si vota su Cancellieri, decadenza, legge di stabilità. E poi ci saranno le primarie del Pd.
A dividere i due, Silvio e Angelino, è il tempo. Berlusconi sente che il suo scivola via rapidamente e ha un gran voglia di voto anticipato in tempi brevi. Alfano, al contrario, deve consolidare il suo nuovo partito e togliere truppe e voti ai berlusconiani, chiede dodici mesi di tempo, “un patto con gli italiani”, che per lui è un patto di sopravvivenza. Si dicono addio nel presente per rivedersi nel futuro: vicino o lontano che sia. Non è una soluzione per il Partito del governo, trasversale almeno quanto quello della Crisi di cui parla Alfano. Il Pdl in preda a una contraddizione irrisolvibile, due linee contrapposte prigioniere di un unico partito, prova a scioglierla scindendo in due la società. Un partito tutto di lotta e uno tutto di governo, destinato a ritrovarsi. Non è un gioco delle parti, ma farebbe malissimo la sinistra a esultare: le due anime prima o poi torneranno alleate e utilizzeranno l’abito che in quel momento farà più comodo. Mentre in queste larghe intese sempre più strette, diciamo pure defunte, il Pd rischia di dover cantare e portare la croce, governare accollandosi i sacrifici economici, la difesa dei ministri furbetti,tutto ciò che è indigesto all’elettorato del centrosinistra. A meno che non sia Renzi a dire che dopo la giornata di oggi non si potrà far finta che non sia successo nulla.
di Marco Damilano