Il 2014 sarà un anno importante per l’Unione, anche dal lato della rappresentanza istituzionale. Entro la fine dell’anno, infatti, cambieranno tutti i vertici delle istituzioni europee. Vediamo le scadenze. Josè Manuel Barroso, presidente della Commissione dal 2004, finirà il suo mandato il prossimo 31 ottobre. Insieme a lui l’intero organismo di governo dell’Unione dovrà rinnovare i sui 27 membri. Il 30 novembre scade invece il mandato del presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy. Nel frattempo, il 22 e il 25 maggio, si svolgeranno le elezioni per il parlamento di Strasburgo, che, per la prima volta, consentiranno agli elettori di esprimere una loro “indicazione” per la presidenza della Commissione.
In questo quadro prenderà l’avvio il semestre italiano di presidenza Ue. Il nostro paese si insedierà alla guida dell’Unione a giugno 2014, proprio quando il balletto sulle poltrone entrerà in una fase più calda.
Beninteso, anche questa volta saranno i capi di stato e di governo della Ue a designare il successore di Barroso, ma il Trattato di Lisbona ha stabilito che gli stessi dovranno “prendere in considerazione” l’esito del voto. In sostanza, come fanno sapere da Strasburgo, verrebbe ad essere “rafforzato il ruolo e la responsabilità del Parlamento europeo rispetto alla Commissione: il Parlamento europeo elegge il presidente della Commissione su proposta del Consiglio europeo che tiene conto dei risultati delle elezioni europee”. Ma anche i membri della Commissione dovranno passare per il vaglio del Parlamento e per questo sono state previste una serie di audizioni dei 27 commissari indicati dai paesi membri, che non si concluderanno prima della fine di ottobre.
Com’è noto, per la presidenza della Commissione, i socialisti hanno scelto come loro candidato Martin Schulz, attuale presidente del parlamento europeo, mentre i popolari scioglieranno il nodo a marzo, nel corso del loro congresso che si svolgerà in Irlanda. Il nome che circola con più insistenza negli ambienti del Ppe è comunque quello del francese Michel Barnier, attuale commissario per il Mercato Interno ed i Servizi, seguito da quello dell’ex primo ministro del Lussemburgo, Jean-Claude Juncker, ex presidente dell’Eurogruppo. Altri nomi che circolano nei corridoi di Bruxelles, in quota Ppe, sono quelli del primo ministro irlandese Enda Kenny, del finlandese Jyrki Katainen e del polacco Donald Tusk.
Indecisi sono i liberali, che si barcamenano tra Guy Verhofstadt, ex primo ministro belga e attuale presidente del gruppo liberale al Parlamento europeo, e il finlandese Olli Rehn, attuale Commissario per gli Affari economici, il cui nome, però, è inesorabilmente associato alle politiche di austerity che hanno contrassegnato la linea di condotta di Bruxelles in questi anni, e questo potrebbe giocare negativamente per lui.
Chiara, e molto simbolica, si presenta invece la scelta della Sinistra Europea, che si è affidata al giovane leader greco di Syriza Alexis Tsipras, figura chiave della lotta ai diktat della Troika nel suo paese.
La domanda è però questa: quale sarà il peso reale del voto popolare nella scelta dei nuovi vertici europei? Chi ha dimestichezza con gli affari dell’Unione sa che l’arte del compromesso e della mediazione ha sempre avuto una funzione preponderante nella scelta degli uomini, e delle donne, da destinare alle poltrone che contano. C’è da giurare, quindi, che anche questa volta sarà così, a dispetto della retorica sul processo di democratizzazione delle istituzione comunitarie.
E a fugare ogni dubbio, in questo senso, ci ha pensato proprio la Cancelliera tedesca Angela Merkel, allorquando, già un anno fa, aveva messo le mani avanti sulle prerogative del Parlamento e del Consiglio, riconoscendo a quest’ultimo il potere effettivo di scegliere il successore di Josè Manuel Barroso. “Per me – ha dichiarato la Merkel al termine del vertice Ue dell’ottobre scorso – non c’è nessun automatismo tra il numero dei voti che i partiti europei e i loro capolista riceveranno alle prossime elezioni europee e le nomine che devono essere fatte tra un anno per presidente della Commissione Ue, Consiglio e Alto rappresentante”. Più chiaro di cosi!
La procedura in effetti è inedita e macchinosa, e prevede che il prossimo presidente della Commissione sia scelto dal Consiglio europeo, l’assemblea dei capi di stato e di governo dell’Unione, su indicazione del Parlamento, cui spetterà anche il compito di ratificare la nomina del neopresidente. Dunque in teoria la camera di Strasburgo avrebbe un ruolo assolutamente non secondario nella partita. Si impone però il condizionale, perché alla fine, a meno di stravolgimenti clamorosi del quadro politico ed elettorale in tutti i paesi dell’Unione, la scelta andrà a ricadere su un nome concordato dai principali gruppi politici europei, sulla base di criteri che poco avranno a che fare con le “indicazioni” degli elettori. Anche perché dalle elezioni di primavera ci si aspetta un’affermazione non indifferente di forze e movimenti euroscettici, populisti, sovranisti, tale da indurre le tre principali famiglie politiche europeiste – socialisti, liberali, popolari – a formare una coalizione-trincea a difesa dell’attuale modello di integrazione economica e monetaria.
La Germania, ovviamente, avrà un peso rilevantissimo in questa partita. Ecco perché tutti si chiedono su chi potrebbero ricadere le preferenze di Angela Merkel. Se qualcuno pensa comunque che la Cancelliera guardi soltanto in casa propria, nel Ppe, si sbaglia di grosso. La sua attenzione è puntata su tutti e tre i principali raggruppamenti politici in campo e alla base delle sue scelte non ci saranno certo ragioni ideologiche e motivi identitari. Non è affatto escluso, pertanto, che, dopo qualche diffidenza iniziale, il suo sostegno possa andare, nella trattativa che si aprirà dopo le elezioni, proprio al suo connazionale Martin Schulz, sulla base dello stesso accordo che ha portato in patria alla nascita della Grosse Koalition. Ne ha riferito recentemente anche Der Spiegel, parlando di “appoggio indiretto” della Cancelliera al leader socialdemocratico.
Certo è che, elezioni a parte, le grandi manovre a Bruxelles sono già iniziate, per tutte le caselle che da qui a poco dovranno essere riempite.
di Luigi Pandolfi