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Quattro ipotesi sulla giravolta di Renzi sull’articolo 18

Il 12 agosto Matteo Renzi, in un’intervista a Raitre sembrava chiudere la discussione sulla riforma dello statuto dei lavoratori. “L’articolo 18? Un simbolo. Un totem ideologico. Proprio per questo trovo inutile adesso discutere se abolirlo o meno. Serve soltanto ad alimentare il dibattito agostano”. Si trattava del resto di una posizione ripetuta da Renzi più volte nel corso degli anni, fin dalla celebre manifestazione al Circo Massimo della Cgil nel marzo 2003. Ancora ai tempi della riforma Fornero, in un’intervista a Michele Santoro, l’allora sindaco di Firenze ironizzava in questo modo contro i paladini dell’abolizione: “In vita mia non ho mai incontrato un imprenditore, un singolo imprenditore straniero, che mi abbia mai detto: non investo in Italia perché c’è l’articolo 18. L’articolo 18 è soltanto un problema mediatico”.

Come mai allora in un mese, soltanto un mese, il premier è passato dal considerare inutile e stupido il dibattito sulla riforma dell’articolo 18 al farne un cavallo di battaglia della sua azione e l’argomento principe di una crociata contro la Cgil?

Al netto della conclamata rapidità del Renzi-pensiero, a volte cinica (tendenza “Enrico stai sereno”) e in attesa di una risposta, sono state fatte alcune ipotesi, più o meno maliziose. In ordine di cattiveria.

1) Ipotesi Camusso-Landini. Per una volta d’accordo, i duellanti della Cgil ritengono che il governo Renzi, chiacchiere a parte, sia un fantoccio in mano a Bce, Fmi e falchi dell’Ue, ai quali il premier è chiamato a portare “lo scalpo” dell’articolo 18 per dimostrare di essere “figo” e soprattutto fedele alla linea del rigore.

2) Ipotesi Economist-Diego La Valle-Fabrizio Barca. Quando parla di economia, il premier non sa di che cosa si tratti. Non ha una visione e si affida di volta in volta all’esperto di turno, che ascolta mangiando un gelato. L’attuale consigliere, l’israeliano Yoram Getguld, una colonna della multinazionale americana McKinsey, è un liberista convinto che la salvezza del mondo si ottenga privatizzando tutto il possibile e riformando alcuni diritti dei lavoratori considerati “privilegi indifendibili”.

3) Ipotesi renziana. Si prega di non rivolgere domande al conducente. Qualunque cosa faccia o dica. Grazie.

4) Ipotesi “me l’ha detto il vicino di ombrellone”. Pare che questa estate, nei pochissimi giorni di vacanza interamente dedicati a letture sull’economia – come raccontato carinamente dai giornali – Matteo Renzi abbia maturato un radicale ripensamento sui grandi temi della crisi. Ne consegue il ribaltone sull’articolo 18, che ricorda un poco la conversione del “profeta pazzo” di Quinto Potere dal ribellismo (“Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più”) all’idolatria delle multinazionali.

Scartiamo pure le prime due, troppo negative, e la terza, troppo diffusa. Rimane la possibilità d’illuminanti letture. In questo caso, il premier non potrebbe rendere pubblico il ragionamento che l’ha portato a cambiare clamorosamente idea su un argomento così delicato e importante, magari scrivendo una lettera ai militanti del Pd, meno esortativa e più pensata? Su Twitter è un gioco divertente lanciare uno slogan un giorno e quello opposto una settimana dopo. Ma esistono ancora problemi che riguardano la vita quotidiana di milioni di persone e forse meritano di non essere liquidati in una battuta di 140 caratteri.

 

di Curzio Maltese

da HUffPost

Scritto da Redazione

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