Non conoscevo Barbara Spinelli, se non come lettrice dei suoi articoli illuminanti e sempre più allarmati sulle condizioni dell’Europa. È stato il suo nome a convincermi, poco più di un anno fa, a coinvolgermi nel progetto della lista dell’Altra Europa con Tsipras.
Lei garantiva – perlomeno per me a cui non era bastato orientare il congresso di Sel verso l’alleanza con Tsipras per rimanere dentro il partito – che si trattava di un progetto aperto. Che non era una ripetizione di pasticci già vissuti, come la Sinistra Arcobaleno. Lei, e il passo indietro richiesto ai partiti nella composizione delle liste, facevano pensare a qualcosa di nuovo. Inoltre lei era una donna: carismatica, di valore. Mi piaceva un progetto che faceva di una donna la sua bandiera. Un punto centrale, per una femminista come me.
Un coinvolgimento, nel progetto Altra Europa, che ha significato assumermi responsabilità operative, prima nella campagna elettorale, poi nel susseguirsi di assemblee, fino all’ultima, del 18-19 aprile. La prima volta, per quello che mi riguarda, e ne scrivo solo per svolgere un ragionamento pubblico, che vada oltre le delusioni, le rabbie, i luoghi comuni. E anche il facile tiro al piccione.
Cosa è successo? Non è necessario rifare la storia. Tutti sanno che Barbara Spinelli, contrariamente a quanto affermato durante la campagna, si è risolta ad accettare l’elezione al Parlamento Europeo, nel seggio che altrimenti sarebbe andato al secondo eletto, il giovane attivista di Sel Marco Furfaro. Gli altri eletti sono Curzio Maltese, a lui ha ceduto il seggio il capolista Moni Ovadia, che ha mantenuto il suo impegno, e al sud Eleonora Forenza, di Rifondazione, a cui ha fatto posto Spinelli, anche qui capolista. La bufera che ne è seguita ha avuto un effetto certo: riportare in primo piano i partiti, ben decisi a non delegare nulla a nessuno, e far sparire l’Altra Europa dal radar degli osservatori politici.
Ora l’attenzione all’Altra Europa ritorna di fronte alla notizia di dimissioni illustri. Per motivi politici, argomenta Barbara Spinelli. Perché i partitini hanno preso il sopravvento e non rinunciano a nulla. E il progetto originario è stato tradito.
Benissimo, si potrebbe dire, d’accordo, c’è più di un argomento in questo discorso. Anche se dimentica un anno pieno di attività, manifestazioni, sostegno alla Grecia e al governo Tsipras. Ma entriamo nel merito. Dove e quando c’è stata una battaglia politica? Dove e quando Barbara Spinelli è stata portatrice di una visione, dove e quando avrebbe perso?
Bastano, per fare una politica, una lettera, un intervento a gennaio all’assemblea di Bologna, a cui non è stato possibile replicare vista la sua successiva assenza, alcune rare mail (a parte quelle dedicate all’eccellente attività parlamentare) nella mailing list non tanto interna.?
Insomma, la politica sembra ridotta al proclama, alla voce che viene dall’alto, che in quanto tale – per una qualche virtù connaturata, possiede la verità. Che non ha bisogno di confronto, discussione, relazione. Una voce che non si mescola al basso, non lo pratica, non lo conosce. Anche se invoca i movimenti.
Al di là delle spettacolari dimissioni di Barbara Spinelli, questo è il cuore del problema. Come si fa politica oggi, in tempi di crisi? Crisi economica, ma anche crisi della politica. Cioè fuori dalle tradizioni, dalle storie in cui tante e tanti sono – siamo – cresciuti. Fuori dai ripari. Non ci sono ricette, mentre è fin troppo facile giocare a dividersi, scegliere orgogliosi isolamenti.
Nulla sostituisce il faticoso lavoro di provarci ostinatamente, insieme, ne sono convinta. Ora ancora di più. Per questo continui nell’Altra europa. Ogni altra strada mi sembra velleitaria, o aristocratica. O tutte le due cose insieme.
Vedere il nuovo non è semplice. Cristoforo Colombo, quando approdò a Hispaniola, l’isola che oggi chiamiamo santo Domingo e che lui credeva fossero le Indie, pensò di sentir cantare gli usignoli. Che non esistono, in quella parte del mondo. Gli usignoli che abbiamo nelle orecchie possono assordare, impedire di ascoltare. E di vedere. Le imprese nuove che si fanno strada nel mondo. Quelle tutte da fare, per cui non ci sono miracoli, o soluzioni a tavolino. Che non credono ai salvatori. Neppure se sono donne.
di Bia Sarasini
Fonte: Huffington Post