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Il premier Renzi dalle mani in tasca alla realtà

Il duro monito di Olli Rehn sui conti pubblici del nostro paese, che de facto apre una nuova procedura di infrazione a nostro carico, lascia intendere che per Renzi la ricreazione è finita e che è già venuto il tempo della responsabilità. Una responsabilità che può essere declinata in due modi, molto differenti tra di loro. Assecondando acriticamente le richieste che provengono da Bruxelles, in ossequio agli impegni che l’Italia ha sottoscritto con l’Europa, oppure “cambiando verso”, nella direzione di una deroga sostanziale agli stessi. Nel primo caso parlerei di responsabilità verso i trattati, nel secondo verso il popolo italiano.

Cosa ha eccepito Rehn nel suo Rapporto? Che l’Italia ha un debito troppo elevato ed una crescita troppo bassa. Cosa ha chiesto che si faccia? Che si prosegua sulla strada dell’austerità e si facciano le “riforme strutturali”. Sul primo versante ha detto esplicitamente che c’è bisogno di surplus primari molto alti, e al di sopra dei livelli storici“, che tradotto significa avanzi più consistenti nel rapporto tra entrate ed uscite dello stato al netto del servizio sul debito: un obiettivo che per essere raggiunto richiede(rebbe) ancora tagli alla spesa pubblica ed alti livelli di tassazione, sia diretta che indiretta. Per quanto riguarda le “riforme” invece, il motivetto è sempre lo stesso: più flessibilità nel mercato del lavoro, riduzione del cuneo fiscale, più produttività, meno burocrazia, ecc.

Da quello che ho letto sulla stampa pare che la risposta di Renzi sia stata “Signor sì”. D’altronde lui su questo è stato chiaro dall’inizio: i compiti a casa dobbiamo farli non perché ce lo chiede l’Europa, ma per il futuro dei nostri figli. Beninteso: l’Italia ha bisogno di riforme, ma non è con una pesante iniezione di deregulation nell’economia e con nuovi tagli alla spesa che favorirà la ripresa.

A Renzi non è proprio venuto in mente che alla base della pessima performance della nostra economia in questi anni ci sono state, insieme a fattori più strutturali, proprio le politiche di rigore ad effetto pro-ciclico richieste dall’attuale quadro di compatibilità euro- monetaria e che anche la crescita esponenziale del debito fino al 135% del Prodotto lordo ha la medesima paternità, sia in termini relativi che assoluti. Né gli è passato per la testa che la crisi che stiamo attraversando non è una crisi come le altre le cui conseguenze sarebbero rimediabili semplicemente con misure ordinarie dal lato dell’offerta e della produttività del lavoro.

Tutti gli studi più seri su questa crisi stanno dimostrando che il recupero dei posti di lavoro (Job recovery) persi in questi anni non va di pari passo con gli incrementi del tasso di crescita e che alla base della recessione, a questo punto, c’è soprattutto una crisi di domanda, ma né Renzi né le cariatidi di Bruxelles sembrano volerne prendere atto.

Assumersi la propria responsabilità dinanzi al paese significherebbe pertanto andare in una direzione diametralmente opposta a quella indicata da Rehn. Prendiamo proprio il tema dell’avanzo primario. Anziché puntare alla realizzazione di surplus più elevati per azzerare il deficit in termini strutturali e per aggredire il debito pubblico secondo le prescrizioni del Six Pack e del Fiscal compact, si tratterebbe di impiegare parte di quello attuale per ridurre la pressione fiscale sul mondo produttivo, promuovere politiche industriali, stimolare la domanda interna, rilanciare i consumi, creare nuova occupazione. Un’operazione che richiederebbe, evidentemente, uno stop alla clausola del 3% nel rapporto deficit/ Pil ed al perseguimento degli obiettivi di bilancio a medio termine.

Su questo punto non è più consentito giocare: o si sta dentro gli impegni sottoscritti in questi anni con l’Unione o si lavora per la crescita e l’occupazione. Tertium non datur. E l’Italia, da paese fondatore dell’Europa unita, dovrebbe porre il problema di una radicale rivisitazione delle regole d’ingaggio, rivendicando nell’immediato il diritto a violarle per risollevare le sorti del paese.  

Tolga ordunque le mani dalla tasca, Renzi. Il paese non può più aspettare.

di Luigi Pandolfi

Scritto da Redazione

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