Se non fossimo al punto in cui siamo ci sarebbe da chiedersi seriamente il perché della forzatura di Renzi sul voto di fiducia sull’Italicum. Nulla in realtà ostava a che l’intera vicenda, senza ulteriori tensioni tra le parti, si concludesse secondo i desiderata del premier. I numeri a suo favore c’erano. La minoranza del Pd, in questa così ruvida e spiazzante stagione del redde rationem, per tutte le filiere che la compongono, aveva già ampiamente dato prova più volte di non voler tentare nulla che la costringa a uscire dalla propria insignificanza politica; e per il resto non c’è niente e nessuno che faccia ingombro all’azione “asfaltatrice” di Matteo Renzi.
Ma Renzi ha deciso di forzare sulla legge elettorale – cioè su una materia che dovrebbe essere di stretta competenza del Parlamento e che il governo si è invece intestata come roba sua – per segnalare, col clamore della grande performance pubblica che ne è seguita, il decisivo passaggio politico-istituzionale che lo sgarro istituzionale ha plasticamente messo in scena e di cui il premier vuole il riconoscimento politico e simbolico. Renzi ha voluto cioè rappresentare davanti all’opinione pubblica che tra il Parlamento delle chiacchiere e dei privilegi e il governo delle decisioni e delle semplificazioni, lui, il Matteo nazionale, che pensa al popolo e come il popolo, sta dalla parte giusta e non si perita a disciplinare i comportamenti riottosi, dovunque si annidino. Il disciplinamento nei confronti di chi non ci sta è la cifra di quel renziano alzare le spalle e affermare di continuo che nulla lo fermerà. Chi decide è lui, punto e a capo.
La pienezza anche formale della democrazia decidente è il suo obiettivo. Il che, in maniera semplice, significa l’affermazione definitiva e incontrovertibile sul piano politico-istituzionale della supremazia dell’esecutivo sul Parlamento. E siccome poi siamo in Italia, dove il fantasma dell’Uomo forte sta sempre là a farci compagnia, – certi toni della voce urlante di Renzi in questi giorni lo evocano – questa supremazia potrà affermarsi anche senza una chiara divisione dei poteri, senza quell’ altrettanto chiaro e definito sistema di pesi e contrappesi – l’insieme di checks and balances che è alla base del presidenzialismo della Casa Bianca, e che qualcuno della sinistra dem butta là qualche volta come una chiacchiera casuale.
L’idea renziana è che il partito che esce vincitore dalle elezioni politiche prenda tutto il banco. Anche se ce l’ha fatta superando a fatica il ballottaggio e partendo da un infimo risultato al primo turno. Col 22% dei consensi elettorali, il 55% dei rappresentanti, per esempio, per lo più ancora una volta di nominati. E con il nuovo Senato, a disposizione di chi vince, il governo avrà il potere su tutto. Sulla nomina dei giudici della Consulta, per esempio, un altro fastidioso centro di potere che può entrare continuamente in rotta di collisione col grande manovratore. Legge Fornero docet.
Il trattamento inflitto alla Camera con il voto di fiducia sulla legge elettorale, così come la richiesta di destituzione degli esponenti dem ostili all’Italicum dalla Commissione Affari costituzionali, sono atti, insieme a molti altri episodi, che rientrano a pieno titolo nella strategia di disciplinamento che Renzi persegue nei confronti del Parlamento.
Andare avanti per forzature e per proclami salvifici è una modalità connaturata all’ indole del personaggio, che persino la postura del corpo rivela, quando il premier esterna in Parlamento per annunci, dai banchi del governo, e rende manifesto il fastidio da orticaria che quei luoghi antichi gli comunicano. Il tutto fa intrinsecamente parte della cultura pop e provincial-leopoldesca di cui il premier è imbevuto; discende dall’idea post democratica e post costituzionale che, senza remore, lo stesso premier sciorina per slogan, tweet, richiami da marketing nelle più svariate occasioni. Post democratica e post costituzionale perché l’ordinamento repubblicano è ormai labile e slabbrato e l’unità del sistema costituzionale non c’è più, è nei fatti disarticolato e a disposizione della casualità del potere politico, per via di continue e casuali modifiche di articoli, perdita di significato di principi una volta fondamentali, a partire dall’articolo uno, comma primo, e nefandezze variamente introdotte e fortemente lesive dell’impianto : il pareggio di bilancio in primis. Tutto questo mentre il grande circo mediatico è impegnato nell’opera di propinare a dosi massicce il veleno dell’assuefazione sociale e culturale all’andazzo.
Depotenziare fortemente i corpi intermedi e i soggetti costituzionali della mediazione tra il popolo sovrano e i poteri costituiti è una tendenza storica della post modernità occidentale, cioè della civiltà giuridica che di quella mediazione ha fatto il perno dello Stato democratico. In Italia la tendenza tocca ormai punte allarmanti, soprattutto per l’assuefazione che i disastri della politica, nonché l’uso politico di quei disastri a sostegno dell’antipolitica, hanno alimentato nel’opinione pubblica.
Nulla di più ingombrante del Parlamento c’è oggi per Renzi, nonostante che ciò che rimane del Parlamento funzioni ormai solo come ufficio di convalida delle decisioni del governo. Ma sul piano della forma costituzionale, delle procedure, delle prerogative, il Parlamento è il Parlamento e mantiene ancora potenzialmente parte del suo potere. Renzi sa di dover ancora contrattare. Renzi sa che, a norma del regolamento della Camera, sarebbe stato possibile per i deputati dem, di cui era stata chiesta la sostituzione, ricorrere alla Giunta per il regolamento, sollevando serie obiezioni alla propria destituzione. Anche la richiesta di fiducia sull’Italicum poteva essere messa in discussione dalla Presidente Boldrini, attraverso un’interpretazione più consona al ruolo della Camera, e alle sue stesse prerogative presidenziali, degli articoli otto e centosedici del regolamento. Alcuni costituzionalisti ne hanno parlato. Ma i tempi sono quelli che sono, a tutti i livelli.
Renzi considera la Camera dei rappresentanti del popolo né più né meno che un fastidioso corpo intermedio, particolarmente fastidioso per lui, per quel modo in Costituzione di parlare della sovranità del popolo, che si esercita “nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Forma che è quella di una Repubblica parlamentare e limiti che sono quelli fissabili via via, oltre a quelli già previsti dalla Carta, dal potere legislativo del Parlamento. Un ingombro davvero insopportabile, utile solo se si adegua al primato del’esecutivo. O meglio del premier.
Matteo Renzi non nasce dal nulla e la sua disinvoltura politica, così mediaticamente innervata dei meccanismi tipici del populismo e dell’antipolitica, è l’ultimo prodotto della lunga fase di crisi politica che abbiamo alle spalle. Non bisogna cessare di ricordarlo, perché la responsabilità della nuova fenomenologia politica, denominabile come renzismo, non è solo dell’attuale capo del governo, che fornisce il nome, ma appartiene soprattutto a quella lunga filiera di élites politiche di area di sinistra, “progressista”, “democratica”, che hanno fatto la storia italiana degli ultimi vent’anni. Hanno chiuso gli occhi o hanno acconsentito a quella che un grande pensatore di altri tempi avrebbe chiamato “rivoluzione passiva” e che la sinistra italiana – in un contesto internazionale su cui riandrebbe aperta una riflessione senza sconti per nessuno – ha voluto sempre più limitarsi a etichettare esclusivamente come berlusconismo. Ignorando così il mix velenoso di ricette neoliberiste e di attacco alla democrazia che era alla base di un cambio di passo della Storia. Una crisi politica che ha per altro da allora schiantato la stessa sinistra italian, al punto che è dalle sue spoglie che nascono Renzi e il renzismo nonché l’insieme di ricette neoliberiste ed elargizioni caritatevoli con cui il premier vuole sancire il definitivo superamento della distinzione tra destra e sinistra.
E’ proprio da quello che succede oggi alla Camera che è possibile leggere con tutta la chiarezza necessaria la pericolosa accelerazione che le dinamiche involutive dell’ordinamento democratico del nostro Paese stanno subendo. Le slabbrature insomma possono diventare crepacci.
di Elettra Deiana