di Ida Dominijanni
Per le regionali in Calabria non si vota più il 14 febbraio ma l’11 aprile, e questa è una buona notizia: la regione, il Cts e il governo si sono resi conto che fare una campagna elettorale e votare con i contagi di nuovo in crescita non era precisamente una buona idea. La nuova data di fatto riapre i giochi finora bloccati sia nel centrodestra, dove Forza Italia rivendica l’esclusiva sul/la candidato/a a presidente ma ancora non ne ha fatto ancora il nome, sia nel centrosinistra, dove il tavolo di confronto per la costruzione di una “coalizione larga” si è impantanato a fine dicembre.
Breve riassunto delle puntate precedenti. La Calabria torna alle urne a causa della morte di Jole Santelli, FI, che aveva vinto le elezioni a febbraio scorso a capo della coalizione di centrodestra incassando il 55% del 47% dei voti: più di metà dell’elettorato si era astenuto, grazie all’offerta politica scadente soprattutto nel campo del centrosinistra, dove il Pd, lacerato dai conflitti interni sulla riconferma o meno dell’allora governatore Oliverio (giusto oggi assolto da un’inchiesta a suo carico aperta da Gratteri), si era buttato sulla candidatura “civica” di Pippo Callipo, imprenditore anti-ndrangheta fino a poco prima vicino al centrodestra e privo di appeal politico nell’elettorato di sinistra.
L’anno che è passato nel frattempo ha cambiato molte cose. Se il centrodestra punta alla riconferma in attesa del bottino del recovery fund, in una sinistra consistente nella società ma priva di rappresentanza politica lo stato della regione (sanità e non solo) portato allo scoperto dalla pandemia ha accelerato l’esigenza e l’urgenza di una svolta politica radicale. Ovviamente impossibile senza una coalizione unitaria alternativa al centrodestra, senza la rottura con le pratiche consociative del passato, senza l’apporto di nuove energie e nuove generazioni. Ma le cose ovvie in politica, com’è noto, non esistono. Convocato tardivamente – solo a metà dicembre – dal Pd, il tavolo di un ipotetico centrosinistra “largo” si riunisce quando il movimento “Tesoro Calabria” – fondato dal geologo ed ex responsabile della protezione civile regionale Carlo Tansi su una piattaforma sostanzialmente e trasversalmente anti-casta e rottamatoria – sta già preparando le liste per presentarsi in proprio, forte di un 7% ottenuto alle regionali di un anno fa e della conquista, la scorsa estate, del Comune di Crotone. Tansi non partecipa al tavolo, poi partecipa, poi di nuovo esce, sempre facendo scintille con il rappresentante del Pd. Il quale Pd a sua volta si comporta come da manuale: ridotto com’è in forma non precisamente smagliante, in Calabria come e più che altrove, si mette tuttavia in posizione sovrana, pretende di dare le carte, vuole per sé e solo per sé la scelta del candidato presidente (ma senza scoprirsi sul nome: aleggiano quelli del consigliere regionale Nicola Irto e del deputato Antonio Viscomi). La parola d’ordine, ufficialmente condivisa dai 5 Stelle, è “consolidare l’alleanza di governo”. Ma i 5 stelle – 18 deputati calabresi, il 6% alle regionali di un anno fa – oscillano fra il patto di governo e la tentazione di sostenere Tansi. Poi ci sono le sigle minori – IV, socialisti, SI – e quelli che il Pd ama definire “i civici”, disconoscendo come al solito la politicità di quello che nasce dal basso e alla sua sinistra: fra questi, le Sardine e “Calabria aperta”, movimento politico nato di recente su iniziativa di 140 attivisti, intellettuali, amministratori (tra i quali per quello che vale la sottoscritta).
M5S, Calabria aperta, SI e Sardine chiedono al Pd discontinuità nelle candidature, un profilo unitario della coalizione, un programma di cambiamento condiviso; il Pd risponde con l’offerta di un ticket, il presidente a me il vicepresidente a voi, con la specifica che stavolta il presidente dev’essere un politico e non un civico. Non se ne fa niente, visto del del candidato presidente “politico” è oscuro non solo il nome ma anche il profilo, e visto che difficilmente un politico uscente del Pd potrebbe soddisfare le esigenze di rottura col passato espresse al tavolo. L’unica rosa di possibili candidati alla presidenza alla fine li fa Calabria aperta: Anna Falcone, avvocata e attivista nei movimenti in difesa della Costituzione; Silvio Greco, biologo e ambientalista noto per le sue battaglie sulla ‘nave dei veleni’; Tonino Perna, economista e attualmente vicesindaco di Reggio Calabria. Il M5S pare apprezzare l’ipotesi Falcone, nome al di sopra di ogni sospetto e di ogni parrocchia, forse perfino Tansi ci starebbe, ma il Pd non dà segnali di ricevuto e non si esprime. Va dritto per la sua strada che è sempre e ovunque la stessa (ed è già stata sperimentata alle ultime comunali di Catanzaro): perdere e far perdere tutto il centrosinistra pur di imporre un candidato “politico” proprio e di non confluire su un/a candidato/a che vincere potrebbe, ma ha il torto di non essere targata Pd e di spuntare fuori dalla sua sinistra.Le cose stanno a questo punto quando comincia a filtrare la notizia che Luigi De Magistris, oggi sindaco di Napoli alla fine del secondo mandato ma ieri procuratore a Catanzaro per molti anni, avrebbe in animo di candidarsi lui a governatore della Calabria. Intervistato da varie testate, De Magistris non smentisce (“sarebbe una bella sfida”, “mi affascina”, “se mi chiamano ci sono”). E il caso non fa in tempo a diventare politico che diventa mediatico. Una testata regionale lancia la fantasiosa ipotesi di un complotto partenopeo ordito da De Magistris in combutta con il commissario del Pd calabrese Stefano Graziano e con il braccio destro di Zingaretti Nicola Oddati, entrambi napoletani e interessati a spedire il sindaco in Calabria per liberare la casella di una futura candidatura in parlamento.
Il giorno prima invece un’altra testata regionale di area Pd si era occupata di derubricare in automatico la candidatura di Anna Falcone da presidente a vicepresidente (di De Magistris): con le donne, è noto, si fa così. Seguono a ruota Repubblica nonché il manifesto. Nel frattempo si scopre che l’idea della candidatura di De Magistris proviene da un sindaco calabrese del suo movimento, mentre il Pd tace, il tavolo latita e sui giornali cominciano, al grido di “la Calabria ai calabresi” gli strepiti contro il “colonizzatore” napoletano, al quale in verità si possono fare molte critiche ma non quella di non conoscere una regione dove ha vissuto e lavorato per tanti anni. Nel campo che fu della gloriosa sinistra italiana abbiamo molti problemi. Uno è sempre lo stesso e si chiama Pd. Un altro è sempre più intollerabile e si chiama misoginia. Ci mancava solo l’orgoglio identitario e proprietario regionale, sinistramente prossimo al leghismo.