di Luigi Pandolfi
La Nota di aggiornamento al Def appena licenziata dal governo contiene un elenco di ben 22 disegni di legge da varare quali “collegati alla decisione di bilancio” per il triennio 2020-2022.
Tra questi, ce n’è uno che dovrebbe recare “interventi per favorire l’autonomia differenziata ai sensi dell’articolo 116 comma 3 della Costituzione attraverso l’eliminazione delle diseguaglianze economiche e sociali nonché l’implementazione delle forme di raccordo tra Amministrazioni centrali e regioni, anche al fine della riduzione del contenzioso costituzionale”.
Per chi ha seguito finora la partita dell’autonomia differenziata, il titolo di questo provvedimento non può che suonare come un insulto alla propria intelligenza. Le regioni del nord non hanno chiesto maggiore autonomia per “eliminare le disuguaglianze economiche” tra le varie aree del Paese. L’hanno chiesta in base ad un calcolo egoistico, per trattenere sul proprio territorio le maggiori risorse fiscali derivanti dallo loro specifica condizione economica e reddituale. Più autonomi con i “nostri” soldi. Una secessione di fatto operata attraverso la leva fiscale.
Far finta di non capire che il Veneto e la Lombardia, ma anche l’Emilia Romagna, non hanno nessuna intenzione di fare gli amministratori “per conto” dello Stato in una sfilza di materie è grave. Perché queste regioni dovrebbero farsi carico di competenze attualmente in capo allo Stato senza godere, in tutto o in parte, di quel dividendo che furbescamente chiamano “residuo fiscale” (in uno stato unitario non esistono residui fiscali)? Senza soldi non si canta messa. Senza il calcolo dei fabbisogni standard sulla base del gettito maturato nelle singole regioni, l’autonomia differenziata perde di significato anche dal punto di vista lessicale.
La verità è che il nuovo governo, anche nelle sue espressioni meridionali, è ben consapevole di tutto ciò, ma come altri governi del passato, è del tutto subalterno, per motivi politici ed elettorali, al partito trasversale del nord ed alla sua ideologia. Grazie alle scellerate campagne leghiste degli anni passati, l’idea che ci sia una questione settentrionale figlia della corruzione di Roma e del parassitismo dei meridionali ha fatto breccia anche tra il ceto politico degli altri principali partiti.
E a furia di ragionare di diritti dei padani e di diritti dei meridionali, di tasse venete e di tasse calabresi, si è parsa per strada la cosa di cui avremmo maggiormente bisogno in questo momento: una visione di Paese.
L’autonomia differenziata è un mutante del virus della secessione. E’ la negazione di ogni visione solidaristica del Paese e, per quanto discenda da norme costituzionali (in ogni caso figlie di una riforma pasticciata del Titolo V), contraddice i principi fondamentali della Costituzione, a cominciare dal principio d’uguaglianza.
Una classe dirigente seria, anziché perorare cause separatiste, si porrebbe il problema di come superare i vizi dell’attuale regionalismo. O, addirittura, di superare le stesse regioni.