Sembra che, in seguito all’uso di armi chimiche in Siria di cui è accusato il governo di Assad, alcuni governi si stiano preparando ad un intervento militare diretto.
Il conflitto, che ha mietuto oltre 90.000 vittime e ha comportato milioni di profughi, sembra destinato ad allargarsi, ancor prima che gli ispettori dell’ONU possano confermarne l’uso e soprattutto gli utilizzatori. La notizia che un primo tentativo degli ispettori di indagare sia stato fermato proprio dalle forze ribelli non sembra aver avuto alcuna influenza sulle intenzioni belliche di diversi paesi, che da tempo premono sia per forniture ufficiali di armi sia per un impegno militare diretto. Del tutto o quasi dimenticata è anche la notizia del maggio scorso quando Carla Del Ponte, membro della Commissione ONU che indaga sui crimini di guerra commessi in guerra, attribuì l’uso del gas sarin proprio alle forze ribelli, al cui interno sono presenti anche forze armate e ben organizzate di fede integralista islamica.
Le forniture di armi verso la Siria sono aumentate del 580 per cento tra il 2007 e il 2011 (per circa i quattro quinti provenienti dalla Russia), mentre si sono incrementate anche quelle verso i paesi confinanti. D’altronde, il conflitto che dura da ben due anni non avrebbe potuto prolungarsi nel tempo se non ci fossero state forniture ufficiali per il governo e semiclandestine per le forze ribelli.
E’ opportuno evidenziare che le armi chimiche in realtà non sono un’arma né risolutiva dei conflitti né facile da usare (per condizioni meteorologiche, per difficoltà di centrare esattamente l’obiettivo, per rischi connessi alla sua stessa detenzione, ecc.). Sono state, invece, proprio le armi convenzionali sinora fornite che hanno causato le decine di migliaia di vittime siriane.
Mentre viene esaltato il rispetto della Convenzione sulle Armi Chimiche CAC (a cui non hanno aderito Angola, Corea del Nord, Egitto, Siria e Somalia, mentre hanno firmato, ma non ratificato, Israele e Myanmar), diversi paesi in possesso anche di armi di distruzione di massa ancor più letali e distruttive (quelle nucleari) sembrano intenzionati a scavalcare le Nazioni Unite, nell’intenzione di intervenire comunque nel conflitto mediorientale, trasformandolo in un nuovo conflitto internazionale.
In realtà,dovrebbero scattare i meccanismi previsti dalla stessa Convenzione – parte XI (ben 27 articoli relativi ai dettagli dell’intera procedura), che non sembra assolutamente considerata dai fautori dell’immediato intervento armato, pronti a scavalcare l’organizzazione della CAC e lo stesso Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
L’attuale posizione del governo italiano per una soluzione politica del conflitto appare l’unica praticabile, come insegnano le vicende irachena ed afghana in cui si è cercata solo la via della forza armata. Non va dimenticato che in Siria, in realtà, si gioca una partita ben più ampia con la partecipazione della Turchia (alla ricerca di un suo nuovo ruolo sulla scena internazionale), dei paesi arabi confinanti, di Teheran (con le sue aspirazioni nucleari), di altri grandi potenze (USA, Russia, Francia, Gran Bretagna) e locali (come Israele).
di Maurizio Simoncelli
Vicepresidente Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo