Secondo le analisi del Fondo monetario internazionale (Fmi), della Banca mondiale e le proiezioni dell’Economist, il nuovo Pil campione di crescita nel 2013 sarà quello della Mongolia. Con un tasso di crescita stimato di oltre il 13%, che secondo studi del Fmi potrebbe avvicinarsi al 18%nel corso dell’anno, la Mongolia si avvia a diventare la nuovabooming economy asiatica del prossimo decennio.
Con un’ampiezza territoriale pari a cinque volte quella italiana e con una popolazione inferiore ai 3 milioni d’abitanti, la Mongolia è composta essenzialmente da distese di steppa e colline. Il segreto di questa crescita economica vertiginosa è nascosto nel sottosuolo mongolo, ricchissimo di minerali come il carbone, l’oro, l’uranio e il rame, la cui ricerca ed estrazione stanno attirando ingenti investimenti esteri nel paese.
Il progetto più importante è quello di Oyu Tolgoi. Si tratta di un enorme impianto di produzione di rame situato sulle colline al confine con la Cina, nato nel 2010 da un joint venture tra la multinazionale anglo-australiana Rio Tinto, la canadeseTurquoise Hill Resources e il governo mongolo. L’impianto entrerà in produzione quest’anno dopo un investimento pari a 6 miliardi di dollari e tre anni di lavoro, con una produzione di almeno 450000 tonnellate di rame e 93 di oro l’anno. Il minerale estratto sarà diretto in gran parte in Cina, il principale mercato di sbocco delle esportazioni mongole di rame. I livelli di produzione si manterranno stabili su queste cifre per il prossimo cinquantennio e porteranno la miniera di Oyu Tolgoi ad incidere per un terzo sul Pil mongolo entro il 2020.
La crescita imperiosa dell’economia mongola non ha ancora avuto quegli stessi riscontri positivi sull’economia realee sulle condizioni di vita della popolazione. Al contrario, l’aumento dell’inflazione, che si aggira oggi intorno al 14%, ha causato un netto impoverimento delle famiglie.
C’è poi la questione del rapporto tra il governo e gli investitori stranieri. Le elezioni del giugno 2012 hanno contenuto il peso dei due partiti storici, il Partito democratico (Pd), sorto nel 1990 dopo la fine del comunismo sovietico e di tendenze liberali, e il Partito popolare (Pp), erede del vecchio partito unico al potere sin dal 1921.
A farsi largo è stata una nuova formazione della sinistra nazionalista, che si è presentata con l’altisonante nome di Coalizione della giustizia (Cdg). Dopo aver ottenuto il 22% dei voti e 11 dei 76 seggi parlamentari, il Cdg è diventato il terzo partito del paese. Questo gruppo comprende principalmente dissidenti del vecchio Partito popolare rivoluzionario mongolo (Pprm), che non ne hanno accettato la svolta democratica del 2010, e membri del Partito nazionale democratico (Pnd). La presenza di questa terza forza, guidata dall’ex presidente della Mongolia, Nambaryn Enkhbayar, ha interrotto lo storico bipolarismo tra il il Pd e il Pp e ha imposto la propria agenda alla coalizione di governo cavalcando il malcontento popolare con i suoi toni nazionalisti.
Il primo effetto di questa evoluzione politica è stata una legge varata nel maggio 2012, il cui principale scopo è quello di limitare la sudditanza mongola nei confronti della Cina. La Mongolia si trova intrappolata tra la Russia e la Cina, e dopo aver orbitato per settant’anni nella sfera sovietica si trova ora nella morsa (economica e politica) cinese. La Repubblica popolare cinese (Rpc) è oggi il principale partner economico della Mongolia ed è destinazione dell’85% delle esportazioni mongole, composte principalmente da minerali e prodotti agricoli.
Nonostante le strette relazioni commerciali, i cinesi non sono molto amati in Mongolia. Oltre alla storica diffidenza causata della dominazione cinese durata fino al 1911, stanno emergendo nuove voci di protesta riguardo il trattamento cinese dei lavoratori mongoli emigrati nella Rpc in cerca di fortuna.
Sul risentimento mongolo ha fatto leva anche Tserendash Tsolmon, ex-vice ministro degli esteri ed esponente del nuovo partito Coalizione per la giustizia, che ha richiesto esplicitamente il blocco delle licenze minerarie ai cinesi. Tserendash Tsolmon ha anche sottolineato la necessità di trovare “nuovi vicini” e ha citato gli Usa, il Giappone, la Corea del Sud e l’Unione Europea, non a caso tutti concorrenti del gigante cinese.
< La prima conseguenza di queste parole è stato il dietrofront della Chalco, multinazionale cinese dell’alluminio e secondo produttore mondiale nel settore. La multinazionale cinese ha sospeso un investimento da 929 milioni di dollari per l’acquisizione del 60% delle quote della miniera di carbone di Tavan Tolgoi (Gobi meridionale), una delle più grandi al mondo e ricca di carbone di alta qualità.
Gli effetti della nuova legge sugli investimenti hanno poi preoccupato anche tutti gli altri investitori stranieri, incluso il colosso britannico della Rio Tinto, una delle più grandi multinazionali minerarie al mondo. Il timore della Rio Tinto è di vedere vanificati i propri investimenti nel caso in cui il parlamento mongolo approvi nuove leggi limitanti alle relazioni con la Cina, a cui vengono venduti gran parte dei minerali estratti.
< Come ha affermato un portavoce(rimasto anonimo) della miniera di Oyu Tolgoi, la Mongolia si trova in una posizione geografica ideale per l’attività mineraria, con una produzione enorme e un altrettanto enorme consumatore confinante, la Cina. Un deterioramento delle relazioni tra la Mongolia e la Cina potrebbe portare ad un vero e proprio “embargo” da parte cinesee quindi al blocco del transito delle merci verso i vicini mercati e porti cinesi. Se gli equilibri con la Rpc dovessero cambiare, il porto utile più vicino sarebbe quello di Vladivostok, distante quasi 4000 km da Oyu Tolgoi.
Questa possibilità non è solo un vago timore, ma un rischio reale. Nel 2011 la visita del Dalai Lama ad Ulaanbaatar provocò la chiusura in rappresaglia del confine sino-mongolo da parte di Pechino.
Se questi scenari si avverassero, si potrebbe assistere ad un rallentamento o perfino un blocco dell’economia della Mongolia e quindi in un grave rischio per le rosee previsioni sui tassi di crescita del Pil nel 2013.
di Emiliano Quercioli
Da: http://www.altd.it/