Doveva essere l’ennesima rivolta popolare della primavera araba ma la questione Siria si è trasformata presto in una sanguinosa guerra civile e oggi rischia di diventare un conflitto globale. La condizione dei civili e l’uso di armi chimiche vengono utilizzate dai pro-interventisti per giustificare la necessità dell’ingresso in scena delle potenze occidentali, ma c’è chi giura che le motivazione siano altre.
Perché la guerra in Siria muove interessi che vanno al di là dello spirito umanitario. Il conflitto nasconde anche cause economiche e rischia di avere conseguenze pesanti anche per i mercati europei (e non solo). La Siria occupa un territorio molto modesto rispetto agli ingombranti vicini di casa, ma è comunque considerato uno snodo strategico per gli interessi dei cugini arabi e dei grandi contendenti Stati Uniti e Russia. Sia dal punto di vista della dislocazione geografica che da quello della ricchezza di materie prime nel suolo, la Siria potrebbe fare gola a molti. Nonostante il conflitto vada avanti ormai da mesi, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama è sempre riuscito a tenersi fuori. La linea dell’attesa è però caduta quando i falchi di Washington hanno spinto per l’intervento armato, con o senza l’appoggio dell’ONU. La motivazione sarebbe l’uso da parte del regime di Assad delle armi chimiche, che stanno facendo strage tra la popolazione. Ovviamente, però, gli analisti sono concordi nel ritenere che gli interessi in gioco siano ben altri.
Un dato pare evidente: formalmente gli Stati Uniti hanno tutto da perdere andandosi a impantanare in una nuova guerra, che sembra peraltro tradire le promesse fatte da Obama di smobilitare le truppe impegnate da anni in Medio Oriente. Dal punto di vista strategico ed economico a un primo sguardo si fatica a trovare dei vantaggi nella scelta di intervenire. Però bisogna considerare che la Siria è un Paese produttore di petrolio ed è ricco di giacimenti di gas naturale sfruttati più che altro dagli stranieri (soprattutto dall’alleato russo). Destituire Assad, allora, d’un colpo potrebbe diventare una grossa occasione di business per le aziende americane. Secondo la Energy Information Administration a inizio 2013 la Siria produceva solo 150mila barili di petrolio al giorno, mentre Iraq e Iran ne sfornavano oltre 3 milioni ciascuno. Oggi la quota si è ridotta ancora di più, ma il potenziale è comunque enorme.
Non a caso tra i documenti pubblicati da Wikileaks ce ne sono alcuni che dimostrano i forti interessi della Shell in Siria. Nel documento, piuttosto inquietante, si legge inoltre che la “Royal Dutch Shell sta perseguendo una serie di nuove iniziative che, in caso di successo, potrebbe espandere la già considerevole presenza dell’azienda in Siria. Con la conclusione delle ostilità in Libano, il petrolio e il gas della Siria stanno rapidamente tornando alla normalità. Sia Royal Dutch Shell e PetroCanada vedono nuove opportunità in Siria. Questo, unito con i prezzi persistentemente elevati del petrolio, può spiegare lo zelo del loro dirigente locale nel perseguire nuovi investimenti qui“. Tutte informazioni di cui il governo americano è a conoscenza e che potrebbero avere influenzato la decisione finale.
Inoltre, e questo vale soprattutto per l’Europa, una vittoria dei ribelli e dell’Occidente potrebbe consentire al Qatar (terzo produttore di gas naturale al mondo) di ottenere uno sbocco sul Mediterraneo per i suoi gasdotti, che farebbero concorrenza a quelli della Russia, oggi rubinetto fondamentale per tutta l’Europa. Per Vladimir Putin sarebbe un colpo notevole sia dal punto di vista strategico che economico, e quindi una vittoria morale per l’amministrazione Obama in un clima che puzza di nuova Guerra Fredda. In Putin si nasconde però anche la vera incognita del conflitto. Cosa deciderà di fare? Alcuni pensano che potrà intervenire in aiuto di Assad, da sempre suo vassallo fedele, trasformando l’area in una vera polveriera e dando corpo allo scenario apocalittico di una Terza Guerra Mondiale. In realtà è improbabile che la Russia decida di esporsi; piuttosto farà valere la sua influenza a conflitto concluso, rivendicando un ruolo nella ricostruzione (e quindi nella gestione delle ricchezze, con prevedibile veto allo sbocco sopra indicato).
Fin qui abbiamo parlato di cause occulte e conseguenze a lungo termine. Detto che il rischio di un effetto domino su un’area già instabile potrebbe portare nel conflitto anche altri Stati (come il pericolo Iran, a sua volta secondo produttore di gas naturale al mondo), cerchiamo di capire anche quali sono le conseguenze immediate di un conflitto in Siria. Il primo e più evidente è l’aumento del prezzo del petrolio, sia per la riduzione dei prelievi nel Paese sia per gli inevitabili giochi al rialzo degli speculatori. Non solo, perché noi italiani, che dipendiamo dai gasdotti stranieri per gran parte del nostro fabbisogno, rischiamo di trovare pessime sorprese anche nella bolletta del gas. A un livello più macro, bisogna comprende poi come reagirà la Borsa a quanto sta accadendo. E’ risaputo che imercati azionari seguono l’andamento dell’umore politico. Il che in questo momento significa assoluta incertezza.
A influenzare l’andamento dei titoli (ma anche indici nazionali come lo spread) sono soprattutto le decisioni politiche, che si susseguono senza sosta. Il Regno Unito con uno storico voto del Parlamento ha detto ‘no’ all’intervento in Siria mettendo il premier Cameron in una situazione imbarazzante con l’alleato Obama; la Francia da parte sua frena su un coinvolgimento in una guerra senza legittimazione. E l’Italia? Nonostante le sanzioni sulle importazioni dalla Siria, nell’Unione Europea è proprio il nostro Paese il suo principale partner commerciale. Questo rende la posizione ancora più delicata, perché l’intervento sarebbe decisamente costoso sia per i fondi da stanziare per gli eserciti sia per le ripercussioni economiche: abbiamo già detto della sete di gas e dobbiamo aggiungere gli interessi dell’ENI nell’area. Pare quindi assodato che secondo logica l’Italia non si farà coinvolgere nella guerra, almeno in un primo momento. Così gli Stati Uniti potrebbero trovarsi soli in un pantano, con la Russia spettatore interessato.
Fonte: http://economia.nanopress.it/guerra-in-siria-cause-e-conseguenze-economiche-del-conflitto/P112177/