Da un capo all’altro del pianeta grandi e perduranti manifestazioni di piazza stanno scuotendo i santuari del potere politico, economico e finanziario. In Europa, da Lisbona ad Atene, passando per Sofia, Madrid, Lubiana, la protesta contro la corruzione delle élite al potere e l’austerità imposta da Bruxelles ha assunto un profilo per così dire endemico, mettendo in discussione l’ineluttabilità dell’attuale modello di costruzione euro – monetaria.
Sul piano politico la situazione di questi paesi non differisce molto da quella italiana, sia nei casi in cui la gestione della crisi è stata affidata a governi di larghe intese, tecnici o politici che siano, sia in quelli dove è stato preservato un parvente regime di alternanza tra forze conservatrici e forze sedicenti progressiste.
L’ideologia dell’austerità, del “ce lo chiede l’Europa”, quella incardinata sul terrorismo del deficit, ha omologato tutte le principali forze politiche di questi paesi, con l’eccezione della sinistra d’alternativa, dove c’è ed è in salute, e, per ragioni diverse, della destra nazionalista.
Ciò che nondimeno distingue il nostro paese da altri paesi europei non è la differenza di posizioni dentro il recinto della politica di palazzo, nel quale sono ricomprese anche alcune forze della sinistra più o meno radicali, quanto l’assenza di una soggettività politica capace di esprimersi al di fuori del recinto medesimo.
Lo stesso Movimento 5 Stelle è un ectoplasma che ha contribuito a sterilizzare la domanda di cambiamento che si è espressa col voto di febbraio: di fronte alla drammaticità della situazione si è rivelato del tutto inadeguato, confuso, autoreferenziale, perfino balordo e demenziale in certi frangenti. La forza che ha messo nella mobilitazione delle energie critiche è stata inversamente proporzionale a quella profusa per reprimere i primi conati di dissenso al suo interno.
E così, mentre la disoccupazione galoppa ed i consumi annaspano, in un quadro di generale sfacelo della compagine statale, dove il picconamento della Costituzione e della democrazia va di pari passo con il precipitare della credibilità di coloro che ne sono artefici, a scendere in piazza non sono quelli che si oppongono, o dovrebbero opporsi, a tale stato di cose, ma i seguaci di un leader politico che è stato appena condannato in via definitiva per frode fiscale, per di più condannato in primo grado per sfruttamento della prostituzione minorile.
Ma che paese siamo diventati? In Bulgaria, solo per fare un esempio, è bastata la nomina alla guida dei servizi segreti di un personaggio chiacchierato per innescare una rivolta di popolo che dopo due mesi ancora non accenna a placarsi. A Sofia, come ad Istanbul, a Rio, i cittadini scendono in piazza contro la povertà dilagante, per i diritti civili, contro la corruzione di stato. In Italia scendono in piazza invece gli amici dei corrotti, degli evasori e degli sfruttatori della prostituzione minorile. E tutti gli altri stanno a casa.
Evidentemente in questi anni è successo qualcosa, qualcosa che ha minato la capacità di reazione del paese, la sua capacità di indignarsi. Anche le minoranze più coscienti appaiono stanche e disincantate, mentre il sindacato fa la cinghia di trasmissione dei governi dell’austerità. Non manca poi la confusione su ciò che dovrebbe essere prioritario in questo momento e su ciò che non lo è. La mia personale opinione è che la lotta alla corruzione e la difesa della legalità, della Costituzione, debbano sposarsi ad una critica rigorosa dell’attuale modello di costruzione europea che, accanto all’impoverimento di larghe masse popolari, sta imponendo anche lo smantellamento della democrazia fondata sul concetto di sovranità popolare. Austerità e torsione élitaria delle nostre democrazie sono ormai due facce della stessa medaglia, che sviluppano la loro forza distruttrice grazie all’inanità, all’immoralità, all’opportunismo, dei ceti politici nazionali.
E’ un tema europeo, non italiano. E in Europa c’è che l’ha capito bene. Qui da noi sarebbe un errore clamoroso pensare di far fronte a questi problemi facendo leva su alcuni dissensi tattici che affiorano dentro l’attuale perimetro della politique politicienne.
La salvezza del paese non può venire dal didentro di questo quadro politico, nel quale ci sta a tutti gli effetti anche l’inconcludente e settario movimento di Grillo. No. Sebbene un movimento di rottura non possa nascere dal nulla ed a prescindere dall’azione cosciente di minoranze che abbiano sufficientemente elaborato questa crisi e le sue cause, c’è una sola via perseguibile per cambiare questo paese: dare fiato ad una mobilitazione dal basso che coinvolga tutti coloro che hanno a cuore la difesa della Costituzione, il ripensamento dell’Europa unita, la fine dell’austerità, la rinascita della democrazia.
I fatti di questi giorni, di queste ore, che incanagliscono una crisi già profondissima del nostro paese, ci dicono che non è più tempo di aspettare.
C’è solo da prendere l’iniziativa, in qualche modo.
di Luigi Pandolfi