Il Cavaliere è in gabbia. Dopo 27 mesi di dibattimenti, circa 50 udienze e migliaia di pagine di atti, il primo grado del processo Ruby ha avuto il suo gran finale.
Con una sonora condanna ai danni dell’ex premier Silvio Berlusconi, addirittura inasprita di un anno rispetto alle richieste avanzate dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini e dal pm Antonio Sangermano, che chiedevano 6 anni di carcere (cinque per concussione e uno per prostituzione minorile), senza la concessione delle attenuanti, con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
La notizia è in apertura su le testate italiani ed europee. Ed anche d’oltreoceano. Tutti sanno, ormai, che il Cavaliere non è più invincibile.
Ed ecco la verità a cui l’Italia si sforza di credere: la quarta sezione collegiale del Tribunale di Milano, formata dai giudici Orsola De Cristofaro, Carmela D’Elia e dal presidente Giulia Turri, ha emesso la sua sentenza, condannando Silvio Berlusconi per i reati di concussione, costrizione e prostituzione minorile a 7 anni di carcere e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, ma anche allo stato di interdizione legale durante l’espiazione della pena e al pagamento delle spese processuali.
Da quel 21 dicembre 2010, quando Berlusconi veniva iscritto nel registro degli indagati, ne è passata di acqua sotto i ponti, e soprattutto di parole e voci nelle aule di tribunale e attraverso le intercettazioni telefoniche.
Un puzzle complicato, in cui le tessere più grosse e colorate hanno le fattezze di Karima el Mahroug. Karima la bella, Karima la bugiarda, Karima la ragazza di origine marocchina che ancora oggi non ha compiuto la maggiore età e che di anni ne ha 17 e sei mesi. Ma che diceva di averne 24 e che si faceva chiamare Ruby. E con lei, Emilio Fede, Lele Mora, Nicole Minetti e il Papi nazionale.
LA STORIA DEL RUBYGATE. Una vicenda iniziata, come iniziano tanti film polizieschi, con una telefonata nella notte, alla questura in cui è stata portata Ruby, sprovvista di documenti e accusata di furto, perché venga liberata. Perché è la nipote del presidente egiziano Hosni Mubarak. E decine di asini volano nel cielo.
Eppure è quanto il capo di gabinetto di via Fatebebefratelli Pietro Ostuni avrebbe riferito in aula: Berlusconi è allora presidente del Consiglio e al telefono parla della nipote del leader egiziano. E Giorgia Iafrate, la funzionaria di turno quella notte, viene autorizzata dal Pm dei minorenni Anna Maria Fiorillo (che nella sua deposizione però sosterrà il contrario) ad affidare la ragazza al consigliere regionale Nicole Minetti.
Ma sia Ostuni che la Iafrate sosterranno di non aver subito alcuna pressione dal Cavaliere, e per questo motivo non si sono costituiti parte civile al processo.
Poi, il fiume delle intercettazioni, le voci di donna che raccontano di serate principesche nella reggia di Arcore, di cene eleganti, di spettacoli burlesque, di ragazze tanto belle quanto svestite, di regalini da migliaia di euro, che raddoppiavano se le fortunate trascorrevano la notte nel letto del cavaliere.
Anche se Ruby non ha mai ammesso di aver fatto sesso con Silvio Berlusconi, sebbene la Procura si sia convinta del contrario. Come si è convinta che Berlusconi era al corrente della minore età di Ruby. E come lei, anche Berlusconi nega: nega di aver passato la notte con lei e di conoscere la sua data di nascita. E così la pensano anche i 35 testimoni che hanno giurato che nella casa del cavaliere non accadeva nulla di illecito, nulla di proibito. Con 2.500 euro di rassicurazioni procapite, com’è stato dimostrato, questi testimoni potevano dire quel che volevano (gli altri), e anche lasciarsi scappare una falsa testimonianza. Che è reato, però.
Dunque, nessun «sistema prostitutivo per il soddisfacimento del piacere sessuale di Berlusconi» come sostenuto dalla Procura. Nulla di tutto questo, secondo loro, ma solo un turpe «accanimento politico», lo stesso che oggi lamenta il Pdl in coro.
Ma il Tribunale di Milano la pensa diversamente: pensa che Silvio Berlusconi sia colpevole.
ECHI DALLA POLITICA. Quello della Politica, in queste ore, è un flusso ininterrotto di dichiarazioni e di attacchi: colpevolisti contro innocentisti. Sinistra contro Destra.
Anche da chi al processo Ruby è parte in causa: come quell’Emilio Fede che fece, dice l’accusa, da tramite tra Ruby e Berlusconi, da ruffiano di Corte per il suo imperatore.
È commosso Fede: «Confesso che mentre sentivo in diretta la sentenza mi sono venute le lacrime agli occhi, pensando allo stato d’animo di Berlusconi. È una sentenza che mi ha colpito per la sua durezza».
Nichi Vendola (Sel), invece, punta il dito contro il Cavaliere, accusandolo di fomentare una guerra civile tra Giustizia e Politica: «Berlusconi farebbe bene a liberare il campo dalla sua presenza. Questa sentenza è un carico di ombre veramente pesante. Non c’è posto al mondo dove si può permanere nella condizione di leader con un’ombra così pesante come i reati legati alla prostituzione. Non si potrebbe assolvere neanche al ruolo di capo condomino con questo carico».
E a smentire il governatore pugliese, ecco la fedelissima ex ministra Maria Stella Gelmini, ora vicecapogruppo vicario Pdl Camera: «Vendola abbia il decoro di tacere invece che suggerire a Berlusconi di abbandonare la vita pubblica per una sentenza strabiliante e vergognosa. Certo, è facile per il segretario di Sel pontificare dal suo pulpito, guarda caso, infatti nessuno ha dimenticato che Vendola fu giudicato e assolto da un giudice che qualche settimana prima sedeva con lui allo stesso tavolo per una festa di compleanno tra parenti e amici».
La bandiera del martire è tenuta alta anche da Daniela Santanché, splendente e battagliera in un abito azzurro cielo, al Palazzo di Giustizia di Milano: «È una sentenza politica. È una farsa. I giudici donne hanno usato altre donne per colpire». Del resto è fresca la sua dissertazione, a dire il vero un po’ confusa e lievemente maschilista, verrebbe da dire, su quel suo sentirsi donna, ma soprattutto femmina, che fece sgranare gli occhi a Marco Travaglio nello studio di Servizio Pubblico.
Con toni da romanzo di cappa e spada, Guido Crosetto (Fratelli d’Italia) si offre di combattere questa “nefandezza”: «Ho avuto molte divergenze di idee con Berlusconi, me ne sono addirittura andato dal Pdl perché non credevo più nel suo progetto. Ora mi fanno venire voglia di tornare con lui a combattere quest’ultima nefandezza».
E di Inquisizione parla anche la deputata Pdl Deborah Bergamini, riferendosi ad una condanna che «stabilisce anche una pericolosissima commistione tra valutazioni di ordine strettamente morale e quelle di carattere giudiziario, proprio come si faceva ai tempi della Santa Inquisizione».
Ma roghi e camere di tortura a parte, quel che ora fa dubitare è la tenuta del Governo e lo svolgimento democratico della vita politica. E rimbalzano di schieramento in schieramento parole come destabilizzazione, squilibrio, crisi. Specialmente tra le fila del Pdl, come dichiara il deputato Giuseppe Galati,
Intanto, i giornali di mezzo mondo aprono con la condanna di Silvio Berlusconi dal Rubygate: Berlusconi condannato a sette anni di carcere di Le Monde a all’Independent che titola Colpevole: Berlusconi condannato a sette anni di prigione, mentre il Guardian gira il dito nella piaga: Berlusconi colpevole nel processo sulla prostituzione. Come la Bbc che afferma Berlusconi condannato nel processo sullo scandalo sessuale.
Anche i Papi piangono.
di Isabella Pascucci