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Le città ingovernabili, il collasso della democrazia

 

Se Italo Cal­vino avesse scritto oggi il suo insu­pe­ra­bile «Le città invi­si­bili» avrebbe incluso pro­ba­bil­mente un capi­tolo dedi­cato alla «città ingo­ver­na­bile». Que­sta è infatti la con­di­zione della gran parte delle città ita­liane negli ultimi cin­que anni, da quando la crisi eco­no­mica ha pro­dotto cre­scente disoc­cu­pa­zione, pre­ca­rietà, disa­gio e paura crescenti. Da Pisa­pia a De Magi­stris, da Doria a Marino, da Orlando a Piz­za­rotti, non c’è più un sin­daco eletto sull’onda ed il biso­gno di una svolta radi­cale che oggi non sia in crisi di consensi.

Per­sino Renato Acco­rinti, eletto a Mes­sina a furor di popolo un anno e mezzo fa, il sin­daco con la maglietta «No Ponte», icona della pace e della difesa dell’ambiente, è oggi a corto di con­sensi nella sua città mal­grado i risul­tati conseguiti. Esat­ta­mente venti anni fa si inau­gu­rava la cosid­detta «sta­gione dei sin­daci», par­tendo dalla rina­scita della Napoli di Bas­so­lino, pas­sando per la pri­ma­vera della Palermo del primo Orlando, e poi ancora Bianco a Cata­nia e Fal­co­matà a Reg­gio Cala­bria, per citare i casi più famosi. Coin­ci­deva anche con una sta­gione di risve­glio delle popo­la­zioni meri­dio­nali a soste­gno dei pro­pri sin­daci che ave­vano dato segni con­creti di buon governo dopo la fal­li­men­tare gestione demo­cri­stiana. Non a caso tutti rie­letti al secondo mandato.

Oggi sarebbe impossibile.

Da una parte, i tagli dei tra­sfe­ri­menti sta­tali ai Comuni, inau­gu­rati dal governo Monti e por­tati alle estreme con­se­guenze da Renzi, dall’altra un debito inso­ste­ni­bile ere­di­tato dalle ammi­ni­stra­zioni pas­sate, ren­dono impos­si­bile rispon­dere ai biso­gni cre­scenti della cittadinanza.

Crisi eco­no­mica e tagli ai bilanci comu­nali si tra­du­cono in una morsa che impe­di­sce di rispon­dere a un disa­gio sociale cre­scente e, soprat­tutto, all’insofferenza. Gli abi­tanti delle peri­fe­rie sono diven­tati ansiosi e intol­le­ranti dopo aver sop­por­tato decenni di abban­dono e degrado. Infatti, biso­gna ricor­darlo, anche durante la cosid­detta «sta­gione dei sin­daci» le peri­fe­rie urbane, di Roma, Napoli o Cata­nia erano rima­ste sostan­zial­mente esterne alla riqua­li­fi­ca­zione urbana diretta soprat­tutto ai cen­tri sto­rici. Ma, non c’era la pesan­tezza di que­sta crisi e le popo­la­zioni delle peri­fe­rie si aspet­ta­vano ancora di essere incluse nel pro­cesso di rina­scita cit­ta­dino. C’era ancora la spe­ranza. In que­sti anni è stata seppellita. Oggi non si dice più «piove governo ladro», ma per ogni gua­sto sociale e ambien­tale il «pun­ching ball» è il sin­daco. Doria a Genova e Marino a Roma, solo per citare gli ultimi casi, avranno pure le loro man­canze ma sono stati messi alla gogna come gli unici respon­sa­bili del disa­stro dell’alluvione o del degrado/razzismo dei quar­tieri peri­fe­rici. E non sono feno­meni iso­lati, ma desti­nati ad allar­garsi per­ché il governo Renzi ha una stra­te­gia poli­tica chiara: sca­ri­care sugli enti locali il costo della crisi e del debito pub­blico inso­ste­ni­bile. Ed è una stra­te­gia che funziona.

I tagli alla sanità pesano sulle Regioni che si tro­vano di fronte una forte oppo­si­zione sociale alla cosid­detta «razio­na­liz­za­zione dell’offerta ospe­da­liera» che com­porta la chiu­sura di decine di ospe­dali per ogni regione. I tagli ai comuni si abbat­tono sui ser­vizi sociali, i mezzi di tra­sporto locale e, soprat­tutto, aumen­tano le impo­ste locali. Quasi tutte le ammi­ni­stra­zioni comu­nali sono diven­tate le più odiate dai com­mer­cianti, dai pro­prie­tari di case, dai sog­getti deboli pri­vati dell’assistenza neces­sa­ria. Risul­tato finale: lo scollamento/scontro tra popo­la­zioni ed ammi­ni­stra­zioni comu­nali porta al col­lasso della demo­cra­zia reale, per­ché è pro­prio a livello locale che è pos­si­bile pra­ti­care forme di demo­cra­zia par­te­ci­pa­tiva, di gestione dei Beni Comuni , di autogoverno. Vice­versa tutte le cose posi­tive le fa Renzi. E non solo gli 80 euro. Vor­rei citare un fatto recen­te­mente accaduto.

In pro­vin­cia di Cosenza una orga­niz­za­zione cat­to­lica, il Banco delle Opere di Carità, in col­la­bo­ra­zione con diversi comuni col­li­nari e mon­tani, sta distri­buendo gra­tui­ta­mente la frutta alle popo­la­zioni di que­sti comuni peri­fe­rici (mele, prugne,ecc.) come soste­gno eco­no­mico alle fasce ter­ri­to­riali più povere. Si è sparsa la voce che que­sto inso­lito prov­ve­di­mento (di solito la frutta che non si ven­deva finiva sotto il trat­tore) sia opera del governo, e così la gente dice : «È arri­vata la frutta di Renzi». Natu­ral­mente c’è sem­pre il rove­scio della meda­glia. L’attacco al sin­da­cato e ai lavo­ra­tori che scio­pe­rano toglie con­sensi al pre­mier, ma non va sot­to­va­lu­tato il fatto che la stra­te­gia prin­cipe di Palazzo Chigi è tipica di un’azienda capi­ta­li­stica: ester­na­liz­zare i costi, sociali ed ambien­tali, e inter­na­liz­zare i pro­fitti (con­sensi in que­sto caso). Per que­sto gli ammi­ni­stra­tori locali che rischiano in prima per­sona dovreb­bero unirsi con­tro que­sto governo con più forza e deter­mi­na­zione di quello che finora hanno fatto, a par­tire dalla richie­sta di ristrut­tu­ra­zione dei debiti ere­di­tati e non più sostenibili.

 

di Tonino Perna

Fonte: Il Manifesto

Scritto da Redazione

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