di Battista Sangineto
L’esplosione di gioia verificatasi nel quartier generale del centrodestra calabrese nell’apprendere che il candidato presidente, l’onorevole Jole Santelli, aveva, nelle proiezioni, un margine incolmabile con il suo avversario Callipo, è comprensibile. È comprensibile, anche, che la gioia fosse così incontenibile da non poter tenere ferme le gambe, da indurre, com’è nella natura umana, ad una sfrenata danza liberatoria della tensione accumulata durante la campagna elettorale. E quale danza poteva essere più appropriata, per festeggiare l’elezione del presidente della Regione Calabria, della tarantella calabrese?
“…Abballati, abballati ommini schetti e maritati/ E si nun abballati bonu nun vi cantu e nun vi sonu/ Si nun abballati pulitu e ci lu dici a lu vostru zitu/ E abballati, abballati, fimmini schetti e maritati…” (Versione di Daniele Sepe).
Il ballo, per i non calabresi, si svolge secondo queste regole: in coppia uomo-donna, ma può essere anche uomo-uomo o donna-donna, e avviene dentro ad uno spazio circolare di persone definito “rota”. U mastru i ballu (il maestro di ballo) si pone al servizio dei danzatori e dei suonatori e decide l’ordine con cui i componenti della “rota” possono ballare gestendone i turni. I suonatori fanno parte della “rota” e seguono l’andamento del ballo con il ritmo. La “rota” è sempre una sola, là dove c’è il suono, e non si balla al di fuori di essa, ma si partecipa alla festa insieme: c’è il tempo affinché tutti ballino e tutti i suonatori si avvicendino.
Le parole del testo ed il modo in cui si balla sono tipici della tradizione folclorica calabrese e, metaforicamente, raccontano che con la danza ci si appropria del territorio della “rota”, il paese o il rione. Il simbolismo che si cela dietro i passi della danza è diverso a seconda se all’interno della “rota” si trovano astanti dello stesso sesso o di sesso diverso. Nel primo caso viene a simboleggiare un vero e proprio duello per il predominio dello spazio delimitato dalla “rota”, nel secondo caso si mima il rituale del corteggiamento in cui la donna, in maniera contenuta e pudica, mostra una rituale civetteria.
Le metafore costituiscono un potente strumento di rappresentazione, costruzione e comunicazione della realtà in cui si vive: specie quando si tratta di metafore largamente condivise e radicate, come quelle irradiate, in Calabria, dalla tarantella. Quando vengono, poi, da un ceto sociale, culturale e politico dominante, come in questo caso, non si può parlare più di semplici metafore, ma di vere e proprie “metafore culturali” (W. M. Short 2014). Diventano strutture simboliche presenti in modo profondo negli individui e nell’ordine di significazione di una società al punto che permettono di definire in profondità la maniera che una certa società ha di possedere e di vivere un mondo, in questo caso una Regione.
Credo che sia abbastanza evidente -anche solo dopo la sommaria descrizione del complesso e multiforme simbolismo contenuto all’interno della tarantella- che i sistemi metaforici sono insidiosi e che vanno maneggiati con cautela perché le “metafore culturali” agiscono sulla sostanza stessa della realtà rappresentata, rendendola più simile a quella evocata per rappresentarla.
Ne discende che la tarantella è la “metafora culturale” più potente ed appropriata della Calabria.