La Nobiltà esiste. I nobili esistono ancora. E i loro privilegi aumentano a dismisura. Se di primo acchito questa affermazione potrebbe apparire infondata e provocatoria, soffermandocisi più attentamente si evince la corrispondenza della stessa con la realtà.
In questo caso, però, non si ha una nobiltà dettata da atti e documenti storici, bensì si ha una casta “concretamente astratta” e frutto di convenzioni sociali, delle quali noi in parte siamo partecipi. Una nobiltà non legittimata da scritti che ne accreditano l’esistenza, ma da questa società che ne riconosce, immeritatamente, l’autorità.
E qui sorge la necessità, per esplicare al meglio quest’argomento forse ancora oscuro, di scindere questa neonobiltà in due generi: la nobiltà istituzionale e la nobiltà sociale. Ambedue queste nobiltà sono basate sul censo, cioè sulla grandezza del patrimonio. Maggiore è la quantità di denaro posseduta e maggiori saranno i benefici che ne conseguiranno.
Se voglio accedere ad un’università prestigiosa ho bisogno d’ingenti somme di denaro. Questo esempio rimanda al concetto di nobiltà istituzionale, quella che discrimina sulla base delle ricchezze (che poi sono attribuite per nascita e non per merito, nella maggior parte dei casi), in cui la parità viene meno lasciando il posto a privilegi e determinando caste, che, grazie all’Indifferenza del popolo, si rafforzano.
E quindi enti pubblici e privati, istituzioni nazionali e religiose creano e fanno parte contemporaneamente di questa nobiltà istituzionale, che pregiudica l’accesso in condizione di uguaglianza alle opportunità che di volta in volta si danno, formando una gerarchia ed una lista di precedenza in cui ognuno di noi si piazza in base al censo.
In stretta simbiosi con questa si ha un’altra nobiltà, che assieme alla prima crea un circolo vizioso in cui uno deriva l’altro. Quest’altro tipo di nobiltà si basa unicamente su convenzioni, su come il popolo considera l’uno o l’altro.
Alcuni esempi saranno più chiari: io cittadino, fors’anche involontariamente, considero maggiormente colui che possiede ricchezze, e viceversa metto in secondo piano già solo chi ne possiede poco meno; entrando in un bar, ad esempio, il sign.dott.professore subitaneamente mi appresterò ad accoglierlo ed ad offrirgli da bere. Contrariamente ciò non accadrà allorché nel medesimo bar entrerà un povero precario disoccupato esodato.
Ciò, eccettuando le eccezioni, accade in ognuno di noi; anche se molti non lo ammettono, questa sorta di discriminazione avviene e pregiudica la libertà del singolo, ch’è privato in taluni casi della propria dignità .Questa discriminazione è simbolo di una società egoista volta unicamente ai tornaconto. La società in questo clima diviene piaga di se stessa. Concussione, corruzione e nepotismo sono alcuni degli elementi nefasti attraverso cui questa si presenta nella quotidianità. E sulla scia di questi tornano utili e calzanti gli esempi precedenti; infatti come nella nobiltà istituzionale, ad accedere alle università prestigiose e a sedere in prima fila durante la messa del papa saranno, nella maggior parte dei casi, i socialmente nobili per una importanza avidamente riconosciutagli, secondo cui dovrebbero essere superiori ad altri.
Così , prendendo atto di ciò detto finora, mi pare evidente chiedermi se siamo ancora una
democrazia, in cui vige l’uguaglianza, ed ogni cittadino è pienamente libero. E postomi questa domanda, con forte rammarico , ho risposto negativamente. No! L’Italia non è più, se lo è mai stata, una Repubblica Democratica; in Italia vige la Censocrazia, etimologicamente il potere assoluto del censo. In cui l’uguaglianza è annientata dal predominio della moneta e dall’ ipervalore che le viene attribuito.
Ma forse queste sono solo affermazioni buttate lì a caso, infondate ed errate .Forse mi lamento inutilmente, forse non si può prescindere da questo sistema di cose. Forse l’uguaglianza non si può raggiungere, non esiste!
Anche preso per vero ciò, senza indagare e ricercare alle fonti la veridicità di questa affermazione, non per forza bisogna mirare all’uguaglianza. Se questa non esiste, cambiamo obiettivo. Tendiamo almeno alle acclamate Pari Opportunità!
Ed ancora torna utile, per gestire quest’altro elemento, dividere la pari Opportunità in istituzionali e sociali. Le prime, anche se per la maggior parte minacciate, godono di alcuni protettori, quali la Costituzione ed alcuni, troppo pochi, buoni politici e politicanti. Mentre le Pari Opportunità sociali si possono avere solo se, non pochi delegati, ma tutti il popolo lavora per esse. Solo se si considerano allo stesso modo, distogliendosi da eventuali vantaggi che ne potrebbero derivare, il riccotto di quartiere ed il lavoratore che per quanto lavori non riesce ad arricchirsi poiché il suo lavoro aggiunto si convoglia nelle tasche del riccotto di quartiere.
Insomma solamente se la società scaccia da sé il filosofico Utile ed arriva finalmente ad adoperare il Giusto, si combatterà questa Censocrazia !
Ma con tutte queste parole, con tutte queste invocazioni non mi appello a Voi, e nemmeno al dispersivo Noi. Io con queste esortazioni mi rivolgo direttamente a Te singolo. Come? Qualsivoglia lavoro o non-lavoro tu faccia, domani abbi occhi diversi, chiediti se sei nel Giusto o nell’Utile optando per il primo, sottrai valore a quel denaro che mangia letteralmente gli animi: allontana da te la Censocrazia!
di Marco Lesci