Se si leggono i post e i relativi commenti di alcune pagine facebook dedicate al culto del Cavaliere B., sembra di ritrovarsi nel bel mezzo della terribile campagna elettorale del 1948, quella in cui la DC ti ricordava che Stalin non aveva poteri divini.
Il tema prevalente è infatti l’anticomunismo, un sentimento che appare del tutto anacronistico se si considera che il glorioso PCI non c’è più dal lontano 1991.
A dire il vero, l’anticomunismo come difesa del sistema democratico dalla rivoluzione proletaria non ha mai avuto molto senso in Italia, dove lo slogan “facciamo come in Russia” non è mai stato credibile e dove i bolscevichi non sono mai esistiti, come del resto confermò lo stesso Palmiro Togliatti con la famosa “svolta di Salerno”.
Ma poi è d’obbligo un’altra considerazione sull’incoerenza conclamata dei berluscones. Questi accesi anticomunisti sono gli stessi signori che da vent’anni vanno felicemente a braccetto con i cosiddetticomunisti (i nipotini del Migliore). A partire dal 1994, dopo l’assimilazione di massa dei fratelli sovversivi del PSI di Craxi, il partito del Cavaliere ha posto in essere una grandiosa operazione trasformistica di tipo giolittiano tesa in un primo momento ad accogliere il maggior numero possibile di comunisti pentiti, successivamente ad inciuciare con il partito dei sinistri, ed infine a governarci beatamente insieme in un clima di pacificazione nazionale. Infatti, la nipote del Duce gongola, perché il signor B. è riuscito finalmente a realizzare il sogno del Nonno: quello di “pacificarsi” col movimento operaio in un abbraccio mortale.
di Andrea Leccese