Ci sono alcune norme, sgradite ai potenti, che vengono manipolate per diventare inoffensive. Un esempio è il falso in bilancio che, depenalizzato di fatto nel 2002, fu successivamente affiancato nel 2005 da una sanzione amministrativa inapplicabile (dopo Parmalat il legislatore era in preda a un sacro furore sanzionatorio).
Ci sono poi altre norme, sgradite ai potenti, che vengono sabotate nella culla, appena nate, e buonanotte al secchio. È il caso del reato di “traffico di influenze illecite”, introdotto nel nostro ordinamento dalla cosiddetta “legge anticorruzione” (L. n. 190/2012), anche perché richiesto da convenzioni internazionali del secolo scorso.
Ma chi è il “trafficante di influenze illecite”? È il mediatore che fa da tramite tra il privato e i funzionario pubblico da corrompere. È il faccendiere che ha conoscenze altolocate e si fa pagare dal privato, promettendo favori. Dunque il legislatore italiano sembra che abbia attribuito finalmente rilevanza penale a quelle condotte, preparatorie della corruzione, poste in essere dalla nutritissima categoria dei “trafficanti di influenze illecite”. Fin qui, tutto bene, anzi complimenti al legislatore del 2012: meglio tardi che mai.
Fatto sta però che il trafficante, per trafficare, ha bisogno di parlare con altre persone, per lo meno col privato da favorire, e magari anche col funzionario pubblico da corrompere. Un reato simile è perpetrabile solo attraverso comunicazioni e contatti personali.
Ergo, il magistrato del pubblico ministero e la polizia giudiziaria, per provare il reato, non avrebbero altra scelta che intercettare e documentare tali comunicazioni e contatti personali.
Ma, ovviamente, questo non è possibile, per la semplice ragione che la pena prevista per il reato ex art. 346-bis del codice penale (da 1 a 3 anni di reclusione) non consente indagini tecniche, con la conseguenza di una scarsissima efficacia investigativa. Pertanto, nella migliore delle ipotesi, il trafficante verrebbe indagato per poi essere scagionato tra la canea degli insulti ai soliti “magistrati comunisti”. Un copione già visto, diverse volte.
Sempre a proposito della pena, il legislatore della riforma mostra di non aver letto il reato precedente, cioè il millantato credito, che punisce la semplice millanteria del traffichino che prende soldi vantandosi di relazioni privilegiate che in realtà non ha (art. 346 c.p.). La pena per quest’ultimo delitto è da 1 a 5 anni, inspiegabilmente più grave di quella prevista per il trafficante di influenze.
Insomma, cari trafficoni, dormite pure tranquillamente su sette o otto cuscini: il reato c’è, ma è una burla.
di Andrea Leccese