Per lo Stato italiano è solo un malato come tanti: nessun legame tra il suo tumore e le missioni militari all’estero. “Se devo sottopormi alla chemioterapia mi viene decurtato lo stipendio come a un qualsiasi dipendente pubblico in malattia e se non torno per un lungo periodo rischio il posto di lavoro”. La battaglia legale di Andrea (il nome è di fantasia) è una battaglia di civiltà. Come lui sono decine i colleghi che cominciano ad ammalarsi ma non tutti hanno la forza di lottare per vedersi riconoscere i loro diritti. “Sono una ventina ormai i soldati che conosco che stanno male – racconta – chi alla gola, chi al cervello, chi al pancreas come me. Ma sembra che queste persone non abbiano voce, che le loro storie restino sotto traccia. E così quando parti non sai quel che ti aspetta, perché nessuno te lo racconta”.
Trentenne con un figlio e dieci anni di carriera nell’esercito, lei è tornato dalla missione in Afghanistan portandosi a casa una patologia rarissima.
“Ero il solo in Italia ad avere questa malattia che si è manifestata con tumore al pancreas e al fegato. I medici mi diedero pochi mesi di vita. Sarà per quello che il ministero non mi ha riconosciuto la causa di servizio, forse pensavano che ero un caso disperato e che non mi restava che morire in pace”.
Prima dell’Afghanistan lei è stato in altre missioni di pace?
“Sì, prima in Kosovo e poi in Libano. Quando sono tornato dai Balcani ho seguito il protocollo di screening istituzionale per via dell’uranio impoverito. Ma dopo cinque anni non avevo nessuna avvisaglia della malattia”.
Quando ha cominciato a star male?
“In Afghanistan, nel 2011. Avevo dolore a un fianco ma lì stanno tutti male, colpa del clima e delle condizioni di vita. Nessuno ha fatto caso ai miei problemi”.
Quindi solo al ritorno in Italia ha scoperto la malattia?
“Non riuscivo a dormire la notte, sudavo e mi si abbassava la vista. Sono andato in ospedale e mi hanno chiesto se fossi diabetico ma io ho risposto che no, non avevo mai avuto problemi del genere. Allora mi hanno fatto gli esami ed è uscito questo tumore rarissimo del pancreas con metastasi anche al fegato. Subito mi hanno dato poche speranze”.
Lei crede che possa essere legato al Kosovo? All’esposizione all’uranio impoverito?
“Io questo non lo so. È possibile, anche se la mia missione in Kosovo risalea molti anni fa. Oppure non c’ è solo lì l’uranio impoverito. Magari è usato anche altrove, ma nessuno lo dice. Oppure è qualcos’ altro. Io vedo che i miei colleghi che si stanno ammalando adesso sono molto più giovani di me e nei Balcani non ci sono mai stati. È una vera emergenza, anche se nessuno ne parla”.
Il medico che ha scritto la perizia per il suo ricorso al Tar contro il provvedimento del ministero della Difesa ha messo in relazione la sua malattia con l’esposizione a uranio impoverito, amianto e l’ha collegata anche ai vaccini.
“Sì, uno che non c’ è stato non può immaginare che sfilza incredibile di vaccini ti facciano prima di partire. Non vogliono che tu ti prenda nemmeno un raffreddore quando sei via, devi lavorare sempre, non puoi permetterti di ammalarti laggiù. Così ti ammali quando torni a casa”
di Ottavia Giustetti
http://torino.repubblica.it/