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Nucleare, Europa come la Somalia: non conta nulla sugli scenari globali

Maurizio Simoncelli, storico, è vicepresidente dell’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo. Ha insegnato in vari corsi universitari (Roma, Firenze, Lecce, Camerino), e dal 2002 presso la Scuola di Politica Internazionale Cooperazione e Sviluppo della FOCSIV/Pontificia Università Lateranense.

Esperto di geopolitica dei conflitti, con lui abbiamo affrontato la questione della riduzione delle testate nucleari strategiche indicata da Obama a Berlino.

 

Con il Presidente Barack H. Obama alla Casa Bianca, gli Stati Uniti si sono posti l’obiettivo del raggiungimento di un mondo senza armi nucleari. Ritiene realistica la proposta del presidente degli Usa, avanzata il mese scorso a Berlino, di ridurre di un terzo le testate nucleari strategiche americane e russe?

Auspicare un mondo senza armi nucleari e realizzarlo nei fatti sono atti politici profondamente diversi. Certamente Obama ha invertito la rotta rispetto all’amministrazione di G.W. Bush, che prevedeva l’uso delle armi nucleari anche in caso di minaccia convenzionale, e ha messo decisamente in secondo piano la strategia nucleare. Ma i passi concreti in questa direzione sono ancora pochi e contraddittori.

Secondo i dati di bilancio, recentemente pubblicati, gli Stati Uniti hanno in programma con il “Life Extension Program” l’estensione della durata delle bombe statunitensi B61 in Europa, per un costo complessivo di 10 miliardi di dollari. Secondo molti analisti si tratterebbe di un’azione contraddittoria del presidente Obama rispetto agli impegni assunti nel 2010 nella “Nuclear Posture Review”, con la quale gli Usa si sono impegnati a ridurre il numero e il ruolo delle testate atomiche. Lei cosa pensa al riguardo?

Questa è una delle contraddizioni più evidenti. Vecchie armi della guerra fredda ora vengono ammodernate e potenziate per essere montate su aerei “invisibili” (ai radar) come gli F35: è ovvio che già solo questo provochi l’irritazione, per così dire, di Mosca che si sente ovviamente nel raggio d’azione della flotta aerea USA e NATO. Anche la dislocazione di basi antimissile presso i confini della Russia contribuiscono ulteriormente a rapporti non idilliaci con il Cremlino, soprattutto se vengono presentate come strumento difensivo in funzione antiraniana (che, come qualcuno geograficamente saprà, è leggermente situata più in là, a sud-ovest).

Nel loro rapporto, “US tactical nuclear weapons in Europe, 2011“, Hans Kristensen e Robert Norris stimano in circa 70 le testate atomiche tattiche, modello B61, presenti in Italia: 50 dislocate nella base militare di Aviano, le altre 20 in quella di Ghedi di Torre. Ritiene che la presenza delle bombe nel suolo italiano sia un rischio oppure uno strumento di più ampia deterrenza della Nato in Europa e quindi di sicurezza per il Paese?

Gli accordi internazionali di disarmo nucleare non riguardano le armi nucleari tattiche, ma solo le armi strategiche (con gittata intercontinentale). Le 150 bombe B61, di cui una parte è dislocata in Italia (altre in Turchia, Belgio, Olanda e Turchia), rappresentano una significativa dotazione militare per la NATO, a cui vanno aggiunti gli arsenali francese e inglese. Per alcuni rappresentano una garanzia dell’ombrello difensivo statunitense nei confronti dell’Europa occidentale, per altri un elemento destabilizzante di processi di disarmo e di creazione di fiducia tra le nazioni. Come si fa a pretendere che l’Iran non sviluppi il suo programma nucleare (ufficialmente a scopi civili e quindi permesso dal Trattato di Non Proliferazione) e a consentire che altri paesi (come i 5 suddetti), firmatari del TNP (trattato di non proliferazione, n.d.r.), siano in possesso di armi vietate dal Trattato stesso? Inoltre, altri paesi ancora (Israele, Pakistan e India) si sono dotati nel passato di armi nucleari al di fuori del TNP e ciò non ha provocato crisi internazionali, né minacce d’intervento armato come quelle indirizzate periodicamente verso Teheran.

E’ forte in Italia il dibattito sull’opportunità di acquistare gli F-35, che rientrano nel programma “Joint Strike Fighter” di rinnovamento dei veicoli da guerra per gli Usa ed i suoi alleati. Cosa pensa al riguardo?

La vicenda degli F35 è contemporaneamente molto complessa e strana. L’Italia coproduceva in ambito europeo e ai massimi livelli tecnologici un ottimo aereo da difesa come l’Eurofighter e ne ha abbandonato la produzione, per realizzare modeste parti di un aereo più costoso (tra il 30 e il 50%) come l’F35 della statunitense Lockheed Martin. Inoltre l’F35 è decisamente un aereo da attacco e non da difesa (come l’Eurofighter), quindi in contrasto con la nostra Costituzione, che teoricamente dovrebbe essere rispettata dai nostri governanti. Si ha l’impressione che dietro a tutta l’operazione vi sia da un lato un attacco industriale alla produzione militare europea da parte di quella statunitense, dall’altro l’assoggettamento a politiche di sicurezza particolarmente aggressive sulla scena politica mondiale.

Alla luce del nuovo programma di estensione di vita delle bombe B61, dire no all’acquisto degli F35 significa fare un passo in più verso il disarmo atomico in Italia?

Solamente in parte, poiché ad oggi queste bombe sono già montate su aerei come gli F16 statunitensi e i Tornado italiani. Ci vorrebbe in Italia una precisa deliberazione parlamentare ed una conseguente presa di posizione governativa, che invitasse gli USA a ritirare queste armi (come fece a suo tempo, senza particolari crisi, il governo ellenico). Ci vorrebbero in Italia governi e forze politiche più coraggiose in questo senso, peraltro senza dover uscire dalla NATO, ma assumendo posizioni più consone alla nostra stessa Costituzione (largamente violata nei fatti).

Dopo la Guerra Fredda ha ancora senso la strategia della deterrenza, intesa come possesso di un quantitativo di riserva di testate strategiche significativamente superiore  rispetto ad altri Stati?

All’epoca della guerra fredda, le superpotenze nucleari avevano nei loro arsenali circa 80.000 testate. Oggi ce ne sono “solo“ 17.000, sufficienti comunque per diversi olocausti. Avere mille testate nucleari in più dell’avversario non vuol dire nulla: basti pensare che la Francia ne ha “solo” 300 ed è in grado di distruggere una larga parte del mondo. La Russia ne ha 8.500 e gli Usa 7.700: chi è il più forte? Il dato numerico non è l’unico elemento di valutazione. Migliaia di testate possono servire a distruggere il mondo più volte, ma mi sembra una strana vittoria dato che le conseguenze sarebbero mortali per tutta l’umanità.

Secondo molti analisti americani, tra i quali Matthew Kroenig, la politica di riduzione delle testate atomiche non implica automaticamente la riduzione del rischio di proliferazione atomica. Secondo lei le politiche di disarmo potrebbero essere potenzialmente un incentivo agli armamenti per  paesi quali l’Iran, Corea del Nord e la Cina?

Ridurre le testate nucleari può aiutarea creare un clima di maggiore fiducia tra i governi, ma non è l’unica soluzione possibile. Invece delle armi nucleari, se ne possono usare altre: quelle convenzionali (aerei, navi, carri armi, ecc.) od utilizzare la cosiddetta cyberwar, la guerra informatica. Posso danneggiare un paese attaccando le sue banche, i suoi sistemi di comunicazione e di trasporto, ecc. senza bisogno di arsenali militari ridondanti. La riduzione diffusa degli arsenali nucleari è comunque un chiaro messaggio, altrimenti come si può dire no a Teheran e sì a Tel Aviv? Perché solo alcuni paesi le possono detenere ed altri no? Bisogna puntare all’opzione zero, come auspicò lo stesso Obama a Praga.

Possiamo definire il New Start 2010 più che un programma di riduzione delle testate un processo di ammodernamento degli arsenali nucleari, riconducibile agli interessi americani?

Il Trattato di Praga dell’aprile 2010 è da un lato un importante accordo per la riduzione della minaccia nucleare, ma non riguarda propriamente il disarmo nucleare dato che attiva solo misure per ridurre e limitare gli armamenti strategici offensivi. Riduce il limite massimo del numero di testate nucleari e di vettori di lancio operativi in possesso di ogni paese, mentre le testate nucleari, pur essendo messe in riserva, sono comunque utilizzabili in caso di conflitto. Politicamente è stato comunque importante poiché riprendeva dopo tanto tempo un dialogo Usa-Russia su tali temi. E già questo non era da poco.

L’Europa sembra priva di una strategia al riguardo: non sembra in grado di incidere nei processi di riduzione delle testate tattiche, né di avere un ruolo significativo in quelli che guidano gli scenari del riarmo internazionale. Condivide questa considerazione ed eventualmente perchè?

L’Europa è un po’ come la Somalia, un nome geografico a cui non corrisponde l’autorità di un vero governo. Nell’ambito della difesa e della sicurezza, al di là delle parole e dei comunicati ufficiali, ogni paese va per conto suo, con le proprie forze armate, con una propria politica estera, con una politica di produzione e di acquisti di armamenti autonoma, con un grave dispendio di energie e di risorse con il risultato finale di non contare nulla sugli scenari globali. L’Europa spende circa la metà della superpotenza statunitense, peraltro senza risultati. E in tempi di crisi economica questa è una politica irresponsabile, ma il nazionalismo del Vecchio Continente è duro a morire. 

 

di Francesco Madrigrano

Scritto da Redazione

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