di Roberto Loddo
Luigi Pandolfi, è un giornalista pubblicista e un attivista politico, scrive di economia e politica su vari giornali, riviste, web magazine e collabora con Il Manifesto. Tra i suoi libri, Un altro sguardo sul comunismo, teoria e prassi nella genealogia di un fenomeno politico di Prospettiva edizioni, 2011; Lega Nord. Un paradosso italiano in 5 punti e mezzo delle edizioni Laruffa, 2011; Crack Italia, La politica al tempo della crisi delle edizioni Laruffa, 2012 e il suo nuovo libro, di cui abbiamo discusso in questa intervista Metamorfosi del denaro. Perché una risorsa della società non può rimanere solo un affare privato, edito da Manifestolibri, 2020.
Nel tuo libro sostieni che l’economia, molto più che nel passato, è oggi essenzialmente basata su relazioni monetarie e che la moneta, da semplice unità di conto del sistema economico, si è trasformata e continua a trasformarsi in una “variabile manovrabile” con un ruolo forte da parte delle banche private. E’ possibile rimettere un po’ d’ordine in termini di trasparenza, eguaglianza e democrazia nel governo del denaro in Europa?
L’economia moderna è essenzialmente un’economia monetaria. Per dirla con Hyman Minsky, nell’attuale contesto economico gli operatori – cittadini, imprese, famiglie – si muovono sulla base di obiettivi e legami di natura monetaria. Ma da dove proviene il denaro? L’opinione comune è che ci sia un’autorità che dall’alto stampi la moneta e la immetta nel sistema. E’ un retaggio del passato. In realtà, il 90% di quello che chiamiamo denaro, sotto forma di depositi ed altri strumenti finanziari, viene prodotto in maniera endogena dal sistema bancario attraverso il credito. Le banche creano denaro. Denaro che non hanno. Questa attività è regolata da cicli espansivi e cicli restrittivi. Di solito ci sono momenti di euforia e di fiducia che si alternano a chiusure dei rubinetti. Le recenti crisi finanziare hanno dimostrato però che l’eccesso di potere di cui godono oggi le banche commerciali può anche degenerare in incoscienza, con danni rilevanti per l’economia e la società. Bastano due parole per evocare questo stato di cose: subprime e cartolarizzazioni. E’ una delle conseguenze del venir meno di ogni vincolo esterno per il denaro, che, fino al 1971, anno dell’abolizione degli accordi Bretton Woods del 1944, era rappresentato dalle riserve auree. Un tempo, per avere più denaro in circolazione bisognava cercare nuovo oro o argento. E’ sintomatico, infatti, che l’Europa dovette fare i conti con un problema di prezzi che aumentavano dopo la scoperta del Nuovo Mondo, di nuove miniere. Dopo la caduta del limite aureo, insomma, si è rafforzata l’idea che il valore possa essere estratto dal denaro stesso, che dai soldi nascono i soldi, “senza passare per il processo produttivo”, come avrebbe detto Karl Marx. Il risultato è che mai come adesso c’è stato tanto denaro in circolazione, ma per i cittadini il denaro rimane una “merce scarsa” ed il suo uso a fini speculativi minaccia costantemente la tenuta del sistema. L’ultima crisi finanziaria ha legittimato le cosiddette “politiche non convenzionali” delle banche centrali, scese in campo per oleare il sistema con grosse immissioni di liquidità (in Europa circa 3 mila miliardi dal 2015 ad oggi), ma questa grande massa di denaro non è arrivata ai cittadini, è rimasta intrappolata nel sistema bancario alimentando nuove bolle speculative. Che fare? Assoggettare l’autorità monetaria al controllo democratico, ristabilendo un rapporto corretto tra “diritto di conio” e interessi generali della società, mettere un freno all’arbitrio bancario nella creazione di moneta, chiudere i “mercati ombra” che non sono soggetti ad alcun controllo.
Kenneth Rogoff, insegna politiche pubbliche a Harvard ed è stato capoeconomista del Fondo monetario internazionale. Nel suo libro La fine dei soldi pubblicato con il Saggiatore analizza l’enorme quantità di cartamoneta in giro per il mondo e sostiene che soltanto il 10 per cento, se non meno, venga utilizzato per i normali acquisti di individui e famiglie. Una futura riforma monetaria europea potrebbe passare per l’eliminazione totale del denaro?
Quella dell’eliminazione totale del denaro è una suggestione molto antica. Nei secoli passati traeva legittimazione, prevalentemente, da considerazioni di carattere morale, poi con la modernità ha assunto un significato diverso, è diventata uno dei termini della critica al modello capitalista della produzione di beni e della distribuzione del valore. Ci provarono in Russia dopo la Rivoluzione, ma poi dovettero ritornare sui propri passi. Altrove andò addirittura peggio. Si pensi alla Cambogia di Pol Pot. Il problema, semmai, è quello di distinguere tra il denaro inteso come “riserva di valore”, bene accumulabile, e il denaro inteso come mezzo per la circolazione delle merci. In una società organizzata diversamente da quella attuale, la tesaurizzazione del denaro potrebbe essere resa inutile. Ma la funzione originaria del denaro, quella di facilitare lo scambio di beni e servizi in una società complessa, con un alto livello di divisione e specializzazione del lavoro, non potrebbe essere sottovalutata. Oggi, comunque, non va trascurata l’importanza che il denaro può assumere, in quanto “variabile manovrabile” da parte dell’autorità politica – banche centrali e governi in simbiosi tra di loro – per il perseguimento di finalità generali all’interno della società. Si pensi al finanziamento di servizi universalistici, di piani per la crescita dell’occupazione, di interventi volti a fronteggiare talune emergenze, di politiche pubbliche dirette a compensare forti squilibri macroeconomici e a contrastare cicli economici avversi (recessioni, stagnazione). L’Europa uscì dal disastro economico della Seconda guerra mondiale anche grazie agli aiuti del Piano Marshall (anche ad est, per la verità, si fece ricorso a risorse straordinarie per risollevare l’economia, con il cosiddetto Piano Molotov), finanziato con i dollari americani. I soldi servono. Ma bisogna rivedere l’architettura del governo dei soldi. Anche il denaro, come altri beni indispensabili alla sopravvivenza umana ed al benessere dei cittadini, dovrebbe essere inteso come un bene comune da ripubblicizzare.
Riesci ad immaginare una Europa diversa, che possa cambiare rotta e orientarsi un po’ di più verso il primato della politica e del benessere della vita delle persone e un po’ di meno verso il benessere del sistema neoliberista e del mercato?
L’Europa, così come è adesso, viene percepita a ragione da tanti cittadini come un’entità inutile e dannosa. Inutile perché incapace di far fronte ai gravi squilibri economici e sociali che l’attraversano e dannosa perché le sue regole inibiscono l’implementazione di politiche redistributive, pro-labour, a livello nazionale. Il problema non è la moneta unica. Piuttosto sono le regole poste alla base del suo funzionamento, compreso il fatto che non sia svalutabile rispetto ad altre divise internazionali. Poi distinguerei tra gli strumenti e le conquiste politiche. Facciamo un esempio. La nostra Costituzione detta norme programmatiche avanzatissime sul terreno economico e sociale, ma la gran parte di queste sono ancora inattuate. E’ un problema politico. In Europa, si tratta di cambiare radicalmente l’attuale disciplina dei bilanci pubblici e riscrivere le norme che oggi sovrintendono al funzionamento del Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC). Perché di “sistema” si tratta, non di una monade con sede a Francoforte. Ma questo non garantirà da solo che nei nostri Paesi cresca la giustizia sociale, diminuiscano o scompaiano le disuguaglianze, il lavoro non sia trattato più come una merce. Avere una banca centrale non significa avere il socialismo. Se fosse così, gli Stati Uniti sarebbero un paese socialista da 107 anni. Insomma, nell’immediato l’obiettivo dovrebbe essere quello di democratizzare le istituzioni europee, rimettere in comunicazione la politica monetaria e quella di bilancio, mettere fine al regime dell’austerità istituzionalizzata e permanente. Per il cambiamento vero, verso una società libera dal bisogno e dal lavoro salariato, da ogni forma di discriminazione compresa quella di genere, bisognerà affidarsi, invece e ancora, alle forze dell’alternativa, alla lotta del nuovo proletariato, delle donne, di chi paga quotidianamente il prezzo salato della controrivoluzione neoliberista.
L’intervista è stata pubblicata su Il Manifesto sardo il 12 marzo 2020