di Francesco Perrella
Negli ultimi decenni della nostra storia recente si è fatto un gran parlare di “misteri italiani”. La Stazione di Bologna, Piazza Fontana, Capaci e Via d’Amelio, il rapimento di Aldo Moro, l’Italicus ed il Rapido 404, per arrivare al G8 di Genova.
E la Strage di Ustica, ovviamente. Misteri italiani. Il titolo perfetto per una collana di romanzi noir. E’ cosi che la realtà, la nostra storia, il fardello che tutti noi, anche gli italiani nati ieri, si portano sulle spalle, volenti o nolenti, si distacca dal nostro vissuto, viene riposizionato in una dimensione astratta, che non ci appartiene più di tanto. O non ci appartiene affatto. Proviamo a riconsiderare questi fatti di cronaca sotto un’altra luce. Quello della Strage di Ustica non è un mistero italiano. E’ un’ingiustizia italiana. E’ una privazione dei più fondamentali diritti civili che dura da trentatré anni. Non solo il diritto alla vita di cui si sono visti privati gli ottantuno passeggeri del volo Itavia IH870, che viaggiava in uno spazio aereo più simile ad un campo minato che ad un’aerovia civile sulla cui sicurezza dovrebbero vigilare determinati organi di Stato. In quell’istante di una sera di trentatré anni fa è stato ucciso il diritto, che appartiene a tutti, di guardare con sicurezza alla nostra storia. George Carlin, comico e pensatore statunitense scomparso qualche anno fa, diceva che, in realtà, “i diritti non esistono”. Li abbiamo inventati, come i personaggi delle favole, perché parlarne ci fa sentire al sicuro. La giustizia, la verità, non sono diritti, ma sono doveri che dobbiamo esercitare giorno per giorno. E troppo spesso ci dimentichiamo che, quando un diritto non appartiene a tutti, non è più tale. E’ un privilegio di pochi. Le sentenze hanno spazzato via le teorie sulle bombe o i cedimenti strutturali, hanno chiarito il contesto in cui si è consumata la Strage, ma mancano ancora i nomi dei responsabili. E non sarà facile trovarli, inutile negarlo, perché non esiste al mondo un assassino tanto efferato che lascia per trent’anni la sua firma in calce ad un massacro simile. Ed allo stesso modo non sarà facile fare luce sulle altre morti sospette legate a questa vicenda. Come quella di Mario Naldini ed Ivo Nutarelli, piloti dell’Aeronautica Militari che la sera del 27 giugno 1980 volarono diversi minuti in conserva al DC9 Italia, lanciando più volte un segnale di allarme. Chiamati a testimoniare dal giudice Priore, morirono pochi giorni prima nel tragico incidente delle Frecce Tricolore nella base tedesca di Ramstein, il 28 agosto 1988, in circostanze tutt’altro che chiare. Non sarà facile capire cosa volesse dire il maresciallo Dettori, controllore di turno la sera della Strage presso la base di Grosseto, quando rincasando la mattina successiva disse a sua moglie che “stava per scoppiare la guerra”. E non potremo più chiederlo, dal momento che è morto suicida, impiccandosi in una maniera che la scientifica definì “innaturale”. Questi sono solo due esempi di storie e di vittime “collaterali”, legate alla Strage da un filo sottile ma persistente. Per questo è importante esercitare giorno per giorno la memoria, non solo quella abbastanza sterile e retorica degli anniversari. Questo vale per i fatti di Ustica come per le altre ingiustizie italiane. Perché nessuna verità ha ragione di esistere se nessuno vuole conoscerla. E solo la memoria può tenere in vita questa ricerca incessante di risposte che dura da tre decenni.