di Francesco Perrella
Il giudice Rosario Priore è senza dubbio uno dei personaggi chiave della vicenda giudiziaria seguita alla Strage di Ustica. Le sue attività d’indagine iniziano nel 1990, ben dieci anni dopo la Strage…
…il relitto del DC-9 è stato recuperato dal fondo del Tirreno tre anni prima, tutte le illazioni su un cedimento strutturale che sarebbe stato alla base del disastro sono scartate – ciò non di meno, la compagnia Itavia è stata chiusa – e rimangono due ipotesi a rimbalzare tra le due parti che vanno componendo questa vicenda processuale: quella dell’abbattimento causato da un missile, come era stato ipotizzato già nei primi anni ’80 da John Macidull, esperto statunitense del National Transportation Safety Board, e quella dell’esplosione interna, portata avanti con vigore, tra gli altri, anche dall’Aeronautica Militare. Scorrendo tra le oltre 5400 pagine che compongono la sua istruttoria – per non parlare degli altri due milioni di atti da lui istruiti – è chiaro quale fosse il modus operandi di Priore: raccogliere materiale probatorio ovunque possibile, scavare nei meandri di questa vicenda, anche quelli che potrebbero ad un primo esame sembrare banali o irrilevanti, per non rischiare di lasciare strade non battute. Il magistrato scava nella vita di quell’aereo e dei suoi passeggeri, arrivando alla conclusione che non c’è nulla di sospetto in nessuno dei due casi. La conferma che quell’aereo fosse funzionante in ogni sua parte ci viene da un episodio emblematico: era uso presso le compagnie che i piloti comunicassero ai tecnici di terra eventuali anomalie riscontrate nel velivolo durante il volo, cosi che al prossimo scalo si potesse intervenire senza perdite di tempo. Pochi minuti prima del disastro il volo IH870 è in transito sopra Ciampino, e quando il controllo chiede al Comandante – tramite un dispositivo radio detto “charlie” – come vada l’aereo, lui risponde che è “assolutamente a posto”. Né tantomeno risulta che qualcuno dei passeggeri potesse ragionevolmente essere veicolo per una missione suicida. Eppure una rivendicazione c’è stata, e rappresenta sicuramente uno degli aspetti più curiosi di tutta la vicenda: intorno a mezzogiorno del 28 giugno 1980, una telefonata giunta alla redazione romana del Corriere della Sera conferma che l’attentato sarebbe opera dei Nuclei Armati Rivoluzionari, un gruppo terroristico di estrema destra, che avrebbero agito per mano di tale Marco Affatigato. Senonché Affatigato non avrebbe potuto trovarsi su quel volo con intenzioni da kamikaze, visto che si trovava in Francia, e si premura di telefonare immediatamente alla Digos chiedendo di smentire la notizia, per rassicurare la madre. Difficile interpretare questo episodio, ed è altrettanto difficile non pensare ad un collegamento tra Ustica ed un’altra Strage attribuita al terrorismo nero, quella che appena due mesi dopo manderà in macerie la Stazione di Bologna. Ma tant’è, allo stato attuale rimangono solo elucubrazioni. Ma al di là delle ricostruzioni più o meno fantasiose, l’ipotesi del missile e quella della bomba hanno diviso per oltre dieci anni i collegi peritali che si sono susseguiti come supporto alle indagini. Nel 1982, la commissione Luzzatti arriva semplicemente ad escludere l’ipotesi del cedimento strutturale: l’I-Tigi è caduto vittima di un esplosione, non si capisce se interna o esterna. Nel 1987, il collegio presieduto dall’ingegner Blasi parla di un missile a guida radar semiattiva. Ma dopo aver depositato le prime conclusioni il collegio si spacca: due componenti, gli ingegneri Blasi e Cerra, cambiano idea e propendono per l’ipotesi bomba, mentre gli altri tre, i periti Lecce, Imbimbo e Migliaccio, confermano la tesi del missile. Il collegio dunque si spacca, e viene nominato quello guidato dal professor Misiti. Un lavoro peritale che coinvolge undici esperti in vari settori, che vanno dalla balistica, alla frattografia, alla chimica, alla medicina legale. Nel 1994 viene siglata una relazione di migliaia di pagine in cui viene confermata l’ipotesi della bomba, che sarebbe esplosa nella toilette in coda all’aereo (particolare curioso: proprio dove avevano detto i “camerati” dell’Affatigato). Pochi mesi dopo la consegna, due membri del collegio, Carlo Casarosa e Manfred Held – progettista di missili tedesco – cambiano idea e, pur non escludendo la tesi della bomba, privilegiano quella della near collision, la quasi collisione. Dopo aver esaminato la perizia Misiti, il giudice Priore la ritiene inutilizzabile ai fini dell’indagine, in quanto affetta “da tali e tanti vizi di carattere logico, da molteplici contraddizioni e distorsioni del materiale probatorio”. Ed in effetti questo articolatissimo lavoro presenta più di qualche aspetto incerto. E’ lo stesso Misiti a scrivere che “la presenza nei cuscini di alcuni frammenti provenienti dai finestrini esterni, rende poco sostenibile l’ipotesi di una esplosione interna. In questo caso, infatti, in caso di rottura dei finestrini stessi, i frammenti avrebbero dovuto essere proiettati verso l’esterno sia per effetto della pressione generata dall’esplosione, sia per effetto della maggiore pressione esistente all’interno della fusoliera rispetto all’esterno, dovuta alla pressurizzazione della fusoliera stessa”. Ed ancora, scrive il medico legale Giusto Giusti, “tutti i dati e le considerazioni effettuate portano alla conclusione che non vi sia stata alcuna esplosione a bordo. […] Dell’esplosione non sono state trovate tracce sui corpi né sui resti ossei; le lesioni timpaniche destre riscontrate su alcuni passeggeri sono attribuibili a decompressione esplosiva per una falla sulla fusoliera. Pertanto, qualora non si rilevassero tracce di esplosione o di incendio, si dovrebbe concludere che tale falla è stata causata da un agente esterno (missile o collisione con altro aereo o parte di esso)”. Ma allora, cosa porta Misiti a concludere che a tirare giù il DC9 sia stata una bomba posta nella toilette di coda? Sostanzialmente perché sulla fusoliera non appaiono i segni delle schegge di un missile. Ma è proprio qui, nella conclusione, che la perizia cade in fallo: “Per tutto quanto esposto, il CP ritiene che l’abbattimento del DC9 mediante missile sia da ritenersi come ipotesi ragionevolmente da escludersi, anche se l’abbattimento mediante impatto con missile inerte potrebbe rendere ragione delle caratteristiche di ritrovamento di esplosivo incombusto su alcuni reperti”. Ma nessuno può dire di che tipo fosse questo ipotetico missile, magari addirittura a testata inerte. Nel concludere la sua sentenza ordinanza, Priore è lapidario: “Esclusa – attraverso l’esame critico di cento e oltre documenti tecnici elaborati con intelligenza e vigore polemico da una schiera tra le migliori di specialisti nelle varie dottrine che son servite – con più che sufficiente certezza qualsiasi altra causa di caduta del velivolo – dall’improvviso cedimento strutturale all’altrettanto improvviso cedimento psichico dei piloti, dall’esplosione interna alla precipitazione di meteoriti o altre similari, parti di fantasie tanto fervide quanto inquinanti – resta il contesto esterno”. E mette in luce anche un altro aspetto di questa vicenda, non meno inquietante: “L’inchiesta – si legge – è stata ostacolata da reticenze e false testimonianze, sia nell’ambito dell’aeronautica militare italiana che della NATO, le quali hanno avuto l’effetto di inquinare o nascondere informazioni su quanto accaduto”. Priore mette in luce anche delle mancanze documentali che è difficile spiegare. Come il registro del sito radar di Marsala, che risulta contraffatto – la pagina del 27 giugno 1980 è stata recisa con tale precisione da non lasciare tracce ad un primo esame – oppure il registro DA1 del sito di Licola, il più vicino al punto del disastro, che non è mai stato consegnato agli inquirenti. C’è poi la portaerei americana Saratoga, che quella sera era di fonda a Napoli, ufficialmente – e sfortunatamente – con i radar in manutenzione: a tal proposito, l’ammiraglio Flatley dichiarò: “Gli addetti alla manutenzione notarono qualcosa. Il traffico aereo era molto sostenuto nell’aerea di Napoli, soprattutto in quella meridionale. Sul radar abbiamo visto passare moltissimi aerei”. E perché, poi, la Francia ha affermato che l’attività volativa delle loro basi è terminata alle ore 17, quando un testimone oculare, il generale dei Carabinieri Bozzo, dichiara che nella base còrsa di Solenzara il decollo dei caccia è andato avanti fino a notte? Perché, volando di scorta al DC9 Itavia sui cieli della Toscana, due piloti dell’Aeronautica Militare, Ivo Nutarelli e Mario Naldini, lanciano un segnale di allarme codificato? Avevano notato qualcosa? Non potremo saperlo mai, dal momento che moriranno otto anni dopo nell’incidente delle Frecce Tricolore avvenuto nella base Nato di Ramstein, in Germania, il 28 agosto 1988. Questi sono solo alcuni quesiti irrisolti su cui si scontra chi indaga su questa storia. Ci sarebbero anche le ambigue conversazioni degli addetti al traffico aereo, ci sarebbero le manovre degli alleati sui nostri cieli. Elencare tutti questi punti oscuri in questa sede sarebbe non solo impossibile ma anche ingiustamente semplicistico. Quel che emerge da dieci anni di indagini è che il volo IH870 è sparito in un vortice di caos, di reticenze, di “non ricordo” interminabili. Sul suo relitto e sui cadaveri dei suoi passeggeri non ci sono le tracce di un’esplosione interna, sulla sua fusoliera non ci sono i segni che ci aspetteremmo di trovare a seguito dell’impatto con un missile. Nei suoi paraggi, in prossimità del disastro, si muovono altri velivoli sconosciuti. Potrebbe essere una semplice addizione, oppure un rebus che non sono bastati trent’anni per risolverlo. E’ sicuramente un terreno fertile per quanti vogliono ipotizzare, speculare e, perché no, riempire qualche titolo con toni sensazionalistici. C’è chi ha messo nella Strage di Ustica perfino i satelliti spia russi e le astronavi aliene. Se la realtà può essere terribilmente dolorosa, i misteri a lungo andare diventano solo affascinanti. Sono un terreno più comodo per far riposare delle coscienze addormentate. E’ cosi che ai depistaggi veri si aggiungono quelli involontari o solo presunti, alle menzogne si aggiungono le mezze verità che passano per sicurezze assolute, ed agli anni passati si aggiungono i futuri. E certi miti sono davvero duri a crollare.