di Giuseppe Aloise
All’indomani del voto del 4 marzo Gianfranco Viesti, noto merdionalista ed autore di libri di successo, commentando i risultati elettorali nel sud, lo strepitoso successo dei 5 stelle e la debacle del PD, ha richiamato, anche per capire il significato e le motivazioni delle scelte elettorali, un economista ebreo nato a Berlino Albert Hirshman che in un suo saggio si propose di spiegare i comportamenti dell’agire umano in risposta a fenomeni di crisi attraverso un reticolo concettuale: lealtà, defezione,protesta.
Viesti sostiene che dopo anni di ininterrotta fiducia e di lealtà nei confronti dei gruppi dirigenti e dei partiti che avevano governato il Mezzogiorno, gli elettori del sud avevano due possibilità: l’uscita ovvero la defezione o la voce ovvero la protesta. Qualcuno, dopo il crollo della fiducia nelle élites di governo, si aspettava una forte astensione.
Ii risultati della partecipazione al voto hanno smentito questa previsione. Gli elettori sono andati a votare ed hanno urlato per farsi sentire, “ gridare per non piegare la testa o voltarla dall’altra parte”.
Gli elettori hanno scelto, così, il terzo elemento del reticolo di Hirshman: l’urlo della protesta! In questo modo si è materializzata la vendetta dei luoghi che non contano che in un solo colpo ha sconfitto il vecchio bipolarismo (PD e Forza Italia ) e con il peso dei suffragi assicurati ai 5 stelle ha di fatto garantito al Movimento di Grillo la guida del governo.
I risultati sono di una chiarezza solare: il Movimento 5 stelle nel Nord, rispetto alle elezioni precedenti, si attesta sulla stessa percentuale (23,6%), nel Centro registra un leggero incremento di due punti passando dal 25,7 al 27,7 mentre al Sud l’urlo della protesta fa esplodere i consensi dal 27,3% al 43,4% con un incremento del 16%, oltre due milioni di voti in più.
Nelle elezioni precedenti il Movimento 5 stelle era un partito nazionale con una presenza pressoché omogenea su tutto il territorio nazionale, Con il voto del 4 marzo il Movimento si caratterizza come la prima forza politica del paese ma con un forte radicamento nel sud. Tutti i collegi uninominali, eccetto tre, ricadenti nel territorio che una volta individuava il Regno delle due Sicilie sono stati conquistati dai 5 Stelle!!
C’era da attendersi una forte riflessione dal parte del PD e dell’intera sinistra sul significato e sulle cause del voto del 4 marzo nel mezzogiorno che ha influenzato pesantemente il risultato elettorale complessivo. Di questa analisi, invece, non c’è traccia. Ma quel che è più grave è che i cosiddetti organismi di partito delle regioni meridionali hanno sostanzialmente rimosso la realtà attardandosi stancamente e senza passione nell’individuare i “percorsi statutari” per la celebrazione del congressi! (In Calabria il 4 marzo il PD si è attestato al 14,3%)
Sul voto del sud ha anche pesato la prospettiva del reddito di cittadinanza e della ripresa della spesa pubblica assistenziale ma ridurre la motivazione del voto solo a questo mi pare riduttivo e fuorviante.
Il voto di protesta degli elettori del sud (giovani ed anziani, dei centri urbani e delle periferie, lavoratori dipendenti ed autonomi) è stato ed è un voto razionale ed è stato, prima di tutto, un voto di condanna per le politiche in favore del sud o meglio per la disattenzione dei governi verso un territorio che si lacerava ed arretrava rispetto al resto del paese.
Un voto di protesta contro gli stereotipi che hanno ridotto il sud a terra di mangiapane a tradimento e palla al piede di un paese altrimenti destinato a ritmi di crescita più sostenuti.
La consapevolezza della sconfitta prevista dai sondaggi elettorali ha aggiunto un ulteriore colpo mortale alla credibilità del PD nel Mezzogiorno. I collegi uninominali sono stati abbandonati a se stessi mentre l’interesse si è ripiegato sui listini con l’ordine preconfezionato. Per riprendere una felice espressione di Ida Dominianni, le “ liste si sono asserragliate sul ceto politico”!
Il continuismo assicurato dalla sopravvivenza del ceto politico meridionale è stato un ulteriore contributo all’esplosione della protesta: si continua come per il passato e dunque occorre comunque cambiare.
Per capire la razionalità del voto bastano poche considerazioni sulle condizioni di arretratezza del Mezzogiorno.
Il sito della Commissione Europea riporta il tasso di disoccupazione dei giovani di età compresa tra 25 e 34 anni nelle 500 regioni dell’Europa allargata ai balcani ed alla Turchia. Secondo i dati elaborati da Eurostat “bisogna arrivare ad una regione turca al confine con Siria ed Iraq per trovare quella che condivide con Calabria,Sicilia e Campania gli ultimi 4 posti della classifica” (Francesco Grillo- Mezzogiorno Corriere).
Basterebbe questo dato per fermarsi: la violenza dei numeri rende ridicole narrazioni di segno opposto. Ma ne aggiungo solo un altro per la capacità espressiva che ha: i test invalsi del 2018 evidenziano che oltre il 50% della popolazione scolastica del mezzogiorno è al di sotto della media nazionale.
Si tace sui disservizi della pubblica amministrazione, sullo stato della sanità soffocata dai cosiddetti “piani di rientro”, sugli squilibri demografici, sulla crisi irreversibile delle zone interne: se questa è la condizione oggettiva, l’elettore del sud ha scelto un voto contro, e non “per”, consegnando di fatto la leadership del paese al Movimento 5 stelle.
In questo contesto la reazione del PD è stata ed è del tutto balbettante: dal un lato Martina riscoprendo sotto il profilo organizzativo le periferie (Tor Bella Monica, Scambia) si illude di recuperare il consenso degli ultimi senza una riflessione sulle disuguaglianze e sulle diffuse povertà, dall’altro il “renzismo” si ricompatta sulla prospettiva di un’imminente deflagrazione dell’alleanza gialloverde senza un minimo di riflessione sulle motivazioni delle scelte degli elettori meridionali.
Ad una situazione complessa che richiederebbe una forte dose di immaginazione capace di coniugare riformismo e radicalità si risponde con la routine di gesti e di messaggi che mal si conciliano con la profondità della smisurata debacle del 4 marzo.
Intanto, il Congresso andrebbe celebrato presto per evitare che il partito sprofondi ancora nei sondaggi: un congresso celebrato all’insegna di un’appropriata autocritica sull’azione dei governi retti dal PD, che sia in grado di trasmettere un chiaro messaggio di rinnovamento di facce e di programmi, che recuperi la partecipazione sia pure attraverso nuove modalità e che restituisca agli organi regionali ed alla periferia la scelta reale delle candidature, condizione per sgretolare l’insorgenza di cerchi magici.
Un partito che superi davvero la condizione degli ultimi anni caratterizzati da una forte leadership personale che di fatto ha annullato il senso del partito-comunità. Un congresso che superi l’attuale frammentazione correntizia che è davvero una caricatura rispetto al correntismo dei partiti di massa. Siamo, oggi,in presenza di correnti senza partito!