Il Parlamento europeo si pronuncia oggi a maggioranza assoluta dei suoi membri e a scrutinio segreto sull’elezione di Jean-Claude Juncker alla presidenza della Commissione europea per la legislatura 2014-2019. Se avrà come è probabile il voto di popolari, social-democratici e liberali, i governi avranno via libera per scegliere – di comune accordo con il presidente eletto – i loro commissari indicando probabilmente il “portafoglio” preferito: la concorrenza o il mercato interno ai conservatori britannici (il cui governo ha votato contro Juncker), un popolare ungherese del partito al governo FIDESZ (la cui delegazione al PE ha annunciato il voto contrario), il socialista francese Moscovici agli affari economici, l’ex primo ministro finlandese all’agenda digitale…
Alla vigilia del voto e a uso e consumo dell’elettorato popolare tedesco, Jean-Claude Juncker ha rilasciato un’intervista esclusiva alla Bild am Sonntag nella quale chiarisce a sorpresa le modalità della sua discesa in campo e le sue priorità. Vale la pena di riassumere le une e le altre. Il candidato del PSE, Martin Schulz, è stato votato a larghissima maggioranza (solo i laburisti britannici hanno votato contro) al Congresso di Roma dopo aver constatato che non c’erano rivali interni, la sinistra socialista e comunista ha eletto all’unanimità il leader di Syriza Tsipras sostenuto in particolare dalla rete italiana “per un’altra Europa” che ne ha fatto il suo portabandiera, i liberali hanno democraticamente scelto fra Guy Verhofstadt (che ha vinto) e Oli Rehn, i verdi hanno fatto delle primarie aperte scegliendo il francese Bové e la tedesca Keller.
E Juncker: “Angela Merkel – dice candidamente – mi ha conferito la candidatura a capolista del PPE il 7 novembre 2013 e da allora mi ha appoggiato e sostenuto con coerenza”. Il Congresso del PPE a Dublino quattro mesi dopo è stato dunque una farsa e la scelta fra Juncker e Barnier un voto di facciata ? In effetti, chi ha assistito al Congresso di Dublino ha visto serpeggiare fra i delegati molti malumori che si sono poi tradotti nel voto finale: su 800 delegati, 382 hanno scelto Juncker, 254 Barnier e gli altri hanno preferito non votare.
Fra le priorità di Juncker non c’è traccia di un piano europeo di investimenti come chiede il governo italiano insieme alla Confederazione Europea dei Sindacati che ha fatto propria una proposta della DGB e ai movimenti europeisti che hanno preparato un progetto di fondo europeo finanziato da risorse proprie e project bonds (EFIGE) e hanno avviato in tutta Europa una campagna popolare (“New Deal for Europe”) per un’iniziativa di cittadini europei. Per Juncker, la stabilità non si tocca “senza se e senza ma”, la crescita e la lotta alla disoccupazione appartengono alla responsabilità delle imprese e del mercato. Nulla dice Juncker sulla revisione del bilancio pluriennale 2014-2020 né sulla capacità fiscale dell’Eurozona.
La ventilata abolizione della trojka (Commissione, BCE e FMI) è uno specchietto per le allodole perché il FMI ha già deciso di uscirne e la BCE – a scoppio ritardato – ha detto che non è affar suo lasciando il cerino acceso nelle mani della Commissione.
Non mancano inattese aperture all’euroscetticismo britannico: “non sono federalista” dice Juncker (ripetendo quel che ha detto al Gruppo Conservatore al PE per imbarcarli nella maggioranza delle larghissime intese), aggiungendo “l’UE si immischia in cose che non la riguardano” e “ abbiamo bisogno di un fair deal con gli inglesi”.
Evidentemente la strada che ci dovrebbe portare ad un atto di discontinuità europea è irta di ostacoli e spetta agli innovatori nel Parlamento europeo indicare tempi e modi per imboccarla. Speriamo che forti voci di dissenso euro-critico e non solo di distruttiva euro-ostilità si levino domani nell’aula di Strasburgo.
di Pier Virgilio Dastoli
Presidente del Consiglio Italiano del Movimento Europeo (CIME)