Dei 1700 emendamenti alla direttiva della Commissione sugli hedge fund, 900 sono stati scritti direttamente dai lobbisti. L’eurodeputato Sven Giegold ha dichiarato di avere ricevuto 142 richieste di incontri da parte di organizzazioni del settore nel giro di due anni. Per influenzare le leggi continentali, banche e altri istituti spendono almeno 123 milioni di euro, 30 volte in più delle associazioni non governative. Ecco come si decide a Bruxelles.
Quattromila cinquecento miliardi di euro. È questa la cifra spesa per salvare le banche in Europa tra il 2008 e il 2011 secondo il commissario europeo al Mercato interno e ai servizi finanziari Michel Barnier. Una quantità enorme di denaro dei contribuenti. Senza contare i 41 miliardi prestati tra il luglio del 2012 e il dicembre del 2013 dal Meccanismo europeo di stabilità per salvare le banche spagnole, come Bankìa, travolte dalla crisi di fiducia che aveva colpito il paese iberico. Ovunque, parlamenti e governi hanno promesso una più severa regolamentazione del settore finanziario, dopo averlo letteralmente salvato con il massiccio ricorso ai soldi dei contribuenti. Passati sei anni, però, il bilancio di quanto è stato davvero fatto è parziale. Negli Stati Uniti, il 21 luglio 2010, è stato approvato il Dodd-Frank Act, il cui percorso di applicazione è andato incontro ad innumerevoli problemi in sede parlamentare e giuridica. In Europa è tuttora in corso l’iter che condurrà alla costituzione di una Unione bancaria con poteri di sorveglianza e controllo sui principali istituti di credito e di un meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie.
Ma perché è così difficile intervenire sulla finanza e sulle banche? Secondo quanto emerge dal rapporto The Fire Power of the Financial Lobbies di Corporate EuropeObservatory, a Bruxelles è continuo l’interfacciarsi tra politica e lobby, in particolare quella finanziaria. Che opera a tutti i livelli del processo politico europeo. Il primo è quello della Commissione europea, che è responsabile dell’inizio delle procedure legislative o di emendamento delle norme vigenti. La Commissione interagisce con i lobbisti principalmente in due modi: attraverso consultazioni dirette e attraverso gruppi di consultazione ufficiali, altresì definiti “gruppi di esperti”. E se le consultazioni hanno lo scopo di “raccogliere risposte di cittadini, organizzazioni e autorità pubbliche”, i gruppi di esperti vengono costituiti dalla Commissione e interpellati per ottenere proposte sul lavoro del braccio esecutivo Ue. Nell’area del settore finanziario, le consultazioni hanno riguardato svariati aspetti – dall’Unione bancaria, ai requisiti di capitale delle banche, passando dagli investimenti alternativi, la regolamentazione dei derivati e la Tobin tax.
Alle diciassette consultazioni principali sul tema hanno partecipato 906 organizzazioni, 55% delle quali provenienti dall’industria finanziaria, 12% da altre industrie e il 13% da sindacati, associazioni dei consumatori e organizzazioni non governative (la cosiddetta società civile). Ovviamente, le rappresentanze dell’industria finanziaria sono quelle che hanno partecipato con più frequenza a questi incontri – prima fra tutte la Federazione bancaria europea (cioè l’associazione europea delle banche, presente a 15 consultazioni), la Investment Management Association (rappresentante dell’industria delle banche di investimento inglesi, anch’essa presente in 15 consultazioni), la Federazione Bancaria Francese (presente 15 volte sui 17 incontri più importanti), lo European Savings Banks Group (presente a 14 incontri che rappresenta 26 banche commerciali da 26 diversi paesi) e l’International Swaps and Derivatives Association (13 volte presente, a rappresentare l’interesse di oltre 820 membri in 57 diversi paesi che utilizzano derivati over-the-counter, cioè non conteggiati nei bilanci).
Il secondo step del processo politico-lobbistco all’intero dell’Unione Europea passa dal Parlamento, che riveste sempre maggiore influenza nel processo legislativo comunitario. E qui l’attività delle lobby si è fatta sempre più presente. Solo il gruppo dei conservatori inglesi al Parlamento europeo, che conta 25 membri, ha incontrato nella prima metà dell’anno scorso 74 volte lobbisti o rappresentanti di industrie finanziarie, tra cui JP Morgan (7 incontri), Citigroup (4 incontri) e Goldman Sachs (3 incontri). Per una media di 12 incontri al mese, uno ogni tre giorni. Il parlamentare europeo Sven Giegold, dei verdi tedeschi, ha dichiarato di aver ricevuto 142 richieste di incontri da parte di organizzazioni dell’industria finanziaria e altre lobbi nel giro di due anni.
Al di là degli incontri con i singoli parlamentari, l’attività delle lobby a Bruxelles passa attraverso gli intergruppi, informali e non, ossia gruppi di lavoro dentro il Parlamento organizzati da coalizioni di parlamentari europei provenienti da vari partiti. Uno di questi, l’European Parliamentary Financial Services Forum, nato per “promuovere il dialogo tra il parlamento europeo e l’industria del settore finanziario”, svolge varie attività, tra cui invitare i parlamentari europei a seminari educativi sul commercio di derivati. Il Forum è finanziato principalmente dai suoi membri: 52 organizzazioni dell’industria finanziaria, tra cui JP Morgan, Goldman Sachs International, la European Banking Federation, Deustche Bank e Citigroup. Non tutti i gruppi, comunque, scelgono di pubblicare chi vi partecipa: è il caso del Kangaroo Group, che organizza vari incontri – anche mondani – per connettere lobbisti dell’industria finanziara e parlamentari europei.
Ma è l’attività parlamentare il vero campo d’azione delle lobby di Bruxelles. A consultare i registri del Parlamento europeo, come fa Corporate europe, sono 208 le organizzazioni, dell’industria e della società civile, che fanno lobby sul tema dei mercati finanziari. Ma questi registri presentano alcuni notevoli limiti di trasparenza, su tutti il fatto che la registrazione da parte delle singole lobby è volontaria e non è certificata da nessuna entità europea. Così, almeno 450 organizzazioni lobbistiche non sono registrate. Solamente alle consultazioni sul tema della riforma finanziaria nelle commissioni economiche del parlamento, ad esempio, hanno partecipato almeno 259 organizzazioni. Ancora una volta a dominare gli incontri le grandi associazioni internazionali e nazionali che rappresentano le industrie finanziarie. Tra i primi venti per partecipazione, si possono trovare solamente un sindacato (la Nordic Financial Unions) e una organizzazione non governativa (Finance Watch).
Come risultato, il Gruppo parlamentare dei Verdi ha calcolato che, dei 1700 emendamenti a una direttiva della Commissione riguardante gli hedge fund e i fondi di private equity, 900 erano stati scritti direttamente da lobbisti dell’industria finanziaria. Esiste infine un terzo canale di azione per le lobby in Europa, che è quello ex-post ossia dell’implementazione. In ambito finanziario, questa è svolta da agenzie europee come la Banca centrale, il Meccanismo di stabilità e le Agenzie di supervisione. Queste hanno nel tempo costituito tutta una serie di gruppi di consultazione, anche detti “gruppi di contatto”, composti da rappresentati delle aziende finanziarie e delle loro associazioni lobbistiche. Nei gruppi di contatto non si discute solamente di questioni tecniche ma anche di temi altamente politici, come la tassa sulle transazioni finanziarie. Senza contare che, con la Banca centrale europea che rivestirà un ruolo sempre più importante nella supervisione del sistema bancario continentale, il ruolo dei gruppi di contatto peserà sempre di più in decisioni che avranno ripercussioni su tutta la zona euro.
Così, considerando tutti gli organismi che hanno partecipato ai vari stadi di negoziazione, approvazione e implementazione delle norme finanziarie in ambito europeo (Commissione, Parlamento, Banca centrale e Agenzie), sono almeno 700 le organizzazioni che possono essere identificate come lobby per l’industria finanziaria, contro le circa 150 quelle legate a organizzazioni non governative, sindacati e organizzazioni dei consumatori. Un rapporto del tutto sproporzionato, che non migliora quando si prendono in considerazione le effettive partecipazioni agli incontri dei singoli organismi europei. Dalla crisi a oggi, i rappresentanti dell’industria finanziaria hanno partecipato a oltre 1900 incontri sulla riforma. Più di ogni altro. Il che non fa altro che sottorappresentare la società civile nel processo decisionale europeo: i meeting studiati da Corporate Europe, solo 9 volte erano incontri con sindacati, 512 con l’industria finanziaria. E questo senza contare gli incontri del Consiglio europeo, l’organismo apicale dell’Unione composto dai capi di stato dei singoli stati membri, che non rilascia informazioni pubbliche sulle attività lobbistiche effettuate in suo seno. A dominare i rappresentanti provenienti dall’Inghilterra, mentre in Europa sono i tedeschi a essere i più rappresentati nelle agenzie di lobby, davanti a francesi e italiani – questi ultimi superati anche dalle associazioni provenienti dagli Stati Uniti.
L’industria finanziaria europea può contare su un totale di 1700 lobbisti. La maggior parte di essi è impiegata a tempo pieno con il compito di seguire – e, ovviamente, cercare di influenzare – i processi decisionali e legislativi delle istituzioni dell’Unione. Ci si rende conto di quanto questa cifra sia rilevante anche solo confrontandola con il numero di impiegati della Commissione europea che si occupano di servizi finanziari: il rapporto fra lobbisti e “civil servant” è di 4 a 1.
Secondo Corporate Europe l’ammontare delle spese per attività di lobbing è pari a 123 milioni di euro l’anno (almeno 26 destinati a soggetti non registrati nell’Official Transparency Register dell’Unione europea, ma su questo è difficile ottenere informazioni). La stima, peraltro, tiene conto solo delle retribuzioni nette, senza considerare spese accessorie come quelle per gli spostamenti, l’organizzazione di eventi, le tasse (queste ultime sono particolarmente elevate, essendo elevate le aliquote marginali corrispondenti agli alti stipendi di questi professionisti). Molto inferiore è la somma complessiva dei costi di mantenimento di coloro che lavorano – sempre nell’ambito dei servizi finanziari – per le varie organizzazioni non governative: 4 milioni di euro.
Il rapporto fra le due grandezze è di 30 a 1. Il che risponde a un molto maggiore capacità di influenza e partecipazione ai gruppi di esperti. Ad esempio, più del 70% di tutti gli esperti consultati dalla commissione aveva rapproti con l’industria finanziaria nel 2008, contro lo 0,8% legato alle organizzazioni non governative e lo 0,5% legato a sindacati. Anche nelle agenzie di supervisione questi rapporto sono completamente distorti a favore della finanza. Negli Stakeholder group di queste agenzie il 74% dei membri vengono dall’industria finanziaria, contro lo 0,4% delle organizzazioni non governative.
Di conseguenza, le 20 organizzazioni più attive nel lobbying relativo alle decisioni finanziarie dell’UE sono ovviamente società finanziarie. E se allarghiamo la classifica ai 50 maggiori attori troviamo soltanto due sindacati e un’organizzazione dei consumatori. Del resto, se il peso di una lobby sta nella sua presenza all’interno degli organi e dei processi decisionali dell’Unione Europea, è inevitabile che le società bancarie ed assicurative abbiano un’influenza maggiore rispetto alle organizzazioni di altro tipo. Come già visto, queste possono contare su vere e proprie reti di pressione fondate sulla presenza in commissioni, assemblee e quant’altro, che rafforzano ulteriormente la loro posizione, già di per se determinante grazie alle liquidità di cui dispongono e alle proprie attività.
Ma oltre alla rappresentanza nelle federazioni di categoria e nelle istituzioni, è una pratica consolidata fare lobbying in via più indiretta, ricorrendo a società di consulenza che per professione svolgono il ruolo di intermediari. Nel grafico 6 sono rappresentate le cinque società di lobbying che ottengono il maggior fatturato e i loro clienti operanti nel settore finanziario. Le spese sostenute nell’ambito della consulenza per il lobbying devono essere dichiarate nel “trasparency register” dell’UE. Da questo emerge che le cinque società più attive sono Fleishman-Hillard (che spende quasi 5 milioni di euro per conto dei suoi rappresentati), Afore Consulting (più di 2 milioni), Kreab Gavin Anderson (1,6 milioni), Hume Brophy (1,6) e Brunswick (1,4). Nomi poco conosciuti ma che contano molto in Europa. I loro clienti sono del calibro di Goldman Sachs, Jp Morgan, Mastercard, Moody’s. I loro compiti sono solitamente legati alla comunicazione e al marketing.
Insomma, il mondo delle lobby europee è complesso per quanto ancora poco conosciuto, particolarmente in Italia. Gli strumenti a disposizione dei singoli istituti sono molteplici. Prendendo l’esempio di Deutsche Bank, il principale gruppo bancario tedesco, è possibile notare come ci siano vari canali di influenza. Quello delle società di PR, come Afore consulting (ma solitamente ci si rivolge a più di una società, Goldman Sachs lavora ad esempion con Afore Consulting ma anche con Kreab Gavin Anderson). Ma anche le federazioni sindacali nazionali si impegnano per perorare gli interessi di Deutsche Bank, in questo caso la Federazione bancaria tedesca. Infine, Deutsche Bank può contare sul sostegno delle varie associazioni industriali cui appartiene
Difficile resistere a una tale potenza di fuoco.
hanno collaborato Emilio Carnevali e Federico Gennari Santori. Apparato grafico curato da Amanda Butera.
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