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Marine Le Pen: l’equivoco della destra che piace anche a sinistra

L’Europa dell’euro, quella che abbiamo davanti agli occhi, è fallita. Ma i suoi ultimi colpi di coda stanno infliggendo danni incalcolabili ai popoli che vi risiedono. Il combinato disposto di crisi ed austerità ha mandato in malora quasi tutte le economie nazionali, con l’eccezione della Germania, che, nondimeno, potrebbe ben presto ritrovarsi vittima della sua stessa scelleratezza in tema di rigore finanziario e di rapporti con gli altri partner del concerto euro – monetario.

C’è poi un problema di democrazia, perché la politica ed i luoghi della rappresentanza sono stati del tutto esautorati, privati delle loro basilari prerogative in materia di politica economica a seguito della riorganizzazione dei poteri di sorveglianza (e di censura) delle istituzioni europee sui bilanci statali. Crescono ovunque disagio sociale e sfiducia nelle istituzioni, con punte estreme come la Grecia, ormai ridotta al rango di colonia e venduta a pezzi per soddisfare i “creditori”.

Di fronte a questo disastro le voci critiche sono poche, divise, in lotta tra loro stesse, per lo più inconcludenti. L’unica che in questo momento si fa sentire, destando qualche preoccupazione, proviene dalla Francia, ed è quella di Marine Le Pen. E’ un fenomeno di cui molto si sta parlando in questi giorni, perché i sondaggi descrivono un’ascesa inarrestabile del suo partito, perché una vittoria del Front National alle prossime elezioni presidenziali francesi segnerebbe la fine dell’Europa dell’euro.

Di cosa stiamo parlando? Del fatto che una formazione politica di matrice neofascista, ancorché riverniciata e ripulita da spigolature razziste che in passato ne avevano contrassegnato il profilo, è data come primo partito in Francia e che la stessa potrebbe diventare, nell’immediato, il treno su cui tanti francesi stanchi della crisi, anche tanti elettori di sinistra delusi, potrebbero salire per raggiungere il traguardo dello scardinamento di questa Europa.

La Le Pen ne è tanto consapevole da aver perfino minacciato di querela coloro che continuassero a definire il suo partito una forza di estrema destra: il suo obiettivo è quello di accreditare il Front National come unica alternativa all’Europa dell’austerity e delle banche, al di là della destra e della sinistra. Non è un caso che il suo programma economico abbia mutuato strumentalmente alcuni temi cari alla sinistra e la sua radicale avversità alla moneta unica si basi su studi come quelli di Jacques Sapir, economista di sinistra, sebbene molto eterodosso, che ha recentemente teorizzato lo “scioglimento dell’euro”.

Marine Le Pen tuona contro Bruxelles, contro la Bce, contro il Fiscal compact ed a sentirla sembrerebbe di avere di fronte un’esponente combattivo della sinistra alternativa. Ma non è così. Basta sfogliare sommariamente il suo programma e l’equivoco si scoglie rapidamente.

I temi sono sempre quelli della vecchia destra, nazionalista, xenofoba, identitaria, autoritaria. Si va dalla retorica del combattentismo, all’esaltazione dello stato forte e della tolleranza zero contro il crimine, nel cui novero vengono fatte rientrare anche tutte le forme di resistenza alla forza pubblica nel corso di manifestazioni di piazza. La riorganizzazione della scuola è concepita secondo il principio di autorità, dove la figura del docente assume un ruolo sacrale. Per il settore della difesa si prevede un aumento, fino al 2% del Pil, delle spese militari e la creazione di una guardia nazionale di 50.000 riservisti, nell’ottica di un affrancamento della Francia dalla Nato. Sul fronte immigrazione si parla di una riduzione dell’immigrazione “legale” dagli attuali 200 mila ingressi annui a 10 mila (- 95%), di stop alla libera circolazione delle persone ed ai ricongiungimenti famigliari, di giro di vite sulle espulsioni, di “priorità nazionale” per l’accesso ai servizi ed all’impiego. Non potevano mancare, poi, il ripristino della pena di morte, la valorizzazione della famiglia tradizionale, la riaffermazione della “grandeur” francese, l’affermazione di una politica di potenza verso le ex colonie ed altri paesi afro-asiatici, il rafforzamento dello stato centralista a danno delle autonomie locali, l’investimento sull’”agricoltura francese”.

Ce n’è abbastanza? Credo proprio di si. E la conclusione cui si giunge è semplice, quanto banale: il fenomeno Le Pen è nuovo solo per chi non vuole vederci il vecchio che si porta appresso. L’unica novità, rispetto al passato, è che questa destra sta interpretando – e cavalcando – meglio della sinistra la frustrazione, il disincanto, che la deriva di questa Europa sta lasciando dietro di sé. C’è un clima cupo in questa Europa che conta ormai quasi 30 milioni di disoccupati, e in questo clima cupo lo spettro di nuovi fascismi è sempre più incombente, si fa sempre più minaccioso.

C’è un solo modo per impedire che dal disastro di questa Europa se ne esca da destra: uscendone con una riforma democratica dell’Unione, che metta al centro l’uomo, il lavoro, la solidarietà, i diritti, il futuro dei giovani, anziché la finanza, i vincoli di bilancio, gli interessi di banche e speculatori, l’ossessione del deficit.

Facile a dirsi, ma…

di Luigi Pandolfi

pubblicato anche su huffingtonpost.it

 

Scritto da Redazione

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