“Approvate voi il progetto di legge sottoposto al popolo francese dal Presidente della Repubblica autorizzante la ratifica del trattato sull’Unione Europea?”. Questo è il quesito che viene sottoposto ai Francesi con un referendum nel 1992. Il Trattato in questione è quello di Maastricht. Il 48% dei Francesi rispedisce il trattato e l’idea di Unione Europea al mittente.
La Francia nonostante questo dice si all’Europa con un risicatissimo 51%.
Sono i primi segnali dell’euroscetticismo francese, confermato in via definitiva nel 2005 quando, sempre con un referendum, la Francia dice NO (54%) alla Costituzione Europea. Oggi la Francia è in piena crisi. La disoccupazione a giugno ha raggiunto il suo record: 10,4 % (mai così alto dal 1998). La spesa pubblica è sempre più alta, il tasso di crescita del primo semestre del 2013 ha fatto segnare un meno 0,2%. Hollande non ha scelta. Il generoso welfare francese deve essere arginato con tagli copiosi, in linea con la “politica dell’Austerità” imposta dall’Europa come antidoto alla Recessione. L’opinione pubblica in Francia non si interroga però sui motivi che hanno portato il welfare a diventare incontrollabile, preferisce prendersela con l’Europa e il suo sbagliato approccio alla crisi, guardando solo all’effetto e non alla causa. Il Tasso di Crescita scende, l’Euroscetticismo sale.
Dal 1992 ad oggi tante cose sono cambiate nello scenario politico francese. Protagonista indiscussa attualmente è Marine Le Pen, figlia di Jean-Marie Le Pen e leader dal 2011 del Front National, partito della c.d. “Destra Sociale”, da sempre portavoce della Francia euro-scettica. Un partito ai margini dalla sua creazione, risalente al 1972. L’analisi dell’evoluzione del partito diventa emblematica a partire dagli anni 90.
Alle elezioni del 1993, raccogliendo i frutti della campagna antieuropeista al Referendum del 1992 sul Trattato di Maastricht, FN ottenne il 13% (+4%) dei consensi al primo turno, ma non riesce comunque ad eleggere deputati. Alle elezioni del 1997 il FN salì al 14,9% ed elesse un solo deputato. Il primo inaspettato risultato sono le presidenziali del 2002 quando Jean-Marie Le Pen riuscì a raggiungere il ballottaggio superando il socialista Jospin, perdendo poi contro Chirac al secondo turno. Da lì in poi il ritorno alla marginalità. Solo il 4,3 % alle elezioni parlamentari del 2007, subendo clamorosamente l’effetto Sarkozy.
Nel 2011, dopo le dimissioni del padre, Marine Le Pen diventa leader del Fronte Nazionale. La Le Pen mette subito in atto una pacata “pulizia” del Fronte, cercando di allontanare esponenti dell’anti-semitismo. Simbolo della discontinuità rispetto al padre è l’idea di Olocausto. Mentre il padre chiamava l’Olocausto un “dettaglio storico”, lei, invece, lo definisce come l’ “apice della barbarie umana” e corteggia il favore degli ebrei, sparando contro gli jihadisti. “I partiti politici sono come le persone. C’è l’adolescenza, quando si fanno cose folli, e poi la maturità. Ora noi siamo pronti per il potere” ha sottolineato la Le Pen. Questo è un cambio di rotta fondamentale.
La diffidenza francese verso l’estremismo del Fronte tende a diminuire stando ai sondaggi. Nel frattempo la crisi e l’austerità europea gettano le bassi perfette per rendere sempre più popolare l’antieuropeismo “argomentato” della Le Pen. Da anti-semita, razzista, antieuropeista il Fronte diventa un Partito anti-sistema con proposte argomentate e fondate su studi economici e conoscitore attento dei problemi del francese medio. Quale miglior occasione per testare questo cambiamento di rotta se non le presidenziali del 2012. La Le Pen inaspettatamente si classifica terza, dietro Sarkozy e Hollande, con il 17,9 %. Le statistiche non lasciano scampo. La Le Pen è riuscita a fare breccia nel cuore soprattutto dei giovani e, cosa ancora più sorprendente, nella classe operaia bianca. Il fenomeno è stato chiamato dagli addetti ai lavori “left-lepenism”.
Temi come il patriottismo economico – moneta – controllo delle frontiere – primato del diritto francese – protezionismo intelligente – anti/capitalismo sono stati una mano tesa per una classe operaia confusa, in difficoltà e sempre più delusa dalla politica economica europea e dall’alta finanza. La Le Pen attacca spesso l’alta finanza e il modo in cui le aziende che aumentano i loro profitti con il costo del lavoro, fanno diminuire i salari in Occidente per contrastare la manodopera a basso costo in Asia. Lo sfondamento a sinistra è solo una deduzione numerica fino alle elezioni parziali di giugno scorso a Villeneuve-sur-lot. Il territorio in questione è paradigmatico per comprendere quanto prima detto, perchè da sempre è una roccaforte dei socialisti francesi.
Uomo politico di riferimento della zona era il ministro del bilancio di Hollande, Jerome Cahuzac, costretto alle dimissioni a seguito dello scandalo relativo all’occultamento di un conto in Svizzera. Il caso ha fatto scandalo in Francia, creando non pochi problemi ad Hollande e al suo governo. Per farvi comprendere la forza dei socialisti e di Cahuzac in questo territorio basta pensare che nel 2008, in occasione delle municipali, la lista da lui guidata aveva vinto al primo turno con oltre il 60% dei voti. Alle legislative del 2012 lo stesso Cahuzac aveva battuto il candidato UMP Costes (ora eletto deputato nella suppletiva), eliminandolo al primo turno con un secco 61,5% di voti. Insomma l’analisi del voto non lascia dubbi. Elezioni giugno 2013, la musica cambia. Il giovanissimo candidato del Fronte Etienne Bousquet-Cassagne riesce a superare nelle preferenze il candidato socialista ottenendo la possibilità di sfidare il candidato dell’Ump (centro-destra francese) al ballottaggio. Qui il Fronte ha poi perso. Ma il risultato è impressionante e deve far riflettere. Il Fronte è riuscito a sfondare a sinistra e in un territorio storicamente socialista.
Spiegare il fenomeno attribuendo la colpa solo al ministro del Bilancio socialista e al relativo scandalo sarebbe riduttivo. L’inversione di rotta della Le Pen, l’atteggiamento ostile all’alta finanza e all’Europa premiano, a quanto pare soprattutto nelle fasce più povere dell’elettorato di sinistra francese. Il fenomeno comincia a diventare preoccupante per il resto dei partiti politici. Primo antidoto utilizzato è stata l'”alleanza” al ballottaggio di Villeneuve tra Ump e Partito Socialista, sancita dall’appello del segretario socialista, Harlem Désir, agli elettori di sinistra perché votassero Ump in modo da impedire l’elezione di Etienne Bousquet-Cassagne e la vittoria del Fronte. Ovviamente le posizioni spesso al limite del Fronte preoccupano chi ha a cuore la democrazia in Francia. Le elezioni europee sono vicine, una vittoria anche lì farebbe diventare la Le Pen la favorita per le prossime presidenziali. Pensare di combattere il fenomeno con un’alleanza ad hoc tra Centro-Destra e Centro-Sinistra è una follia. Le elezioni non sono una partita a scacchi dove basta spostare le pedine per vincere. Le elezioni si vincono sui temi e su un’ottima conoscenza del proprio bacino d’utenza, del proprio elettorato. La sinistra francese ha spiegato poco la politica economica europea ai cittadini e ha dimenticato la classe operaia, fenomeno sempre più diffuso in tutte le compagini di sinistra europee. L’analisi del fenomeno francese è interessante sia per leggere,in chiave comparata, le evoluzioni politiche di casa nostra sia per ripensare alle politiche economiche europee degli ultimi anni. Ecco il tema, allora: ripensare all’Europa degli ultimi anni e interrogarsi sul metodo per arginare le derive antieuropee. Fare fronte contro il nemico comune è utile nel breve periodo ma non efficace nel lungo e, soprattutto, discutibile a livello di valori e di ideali.
di Antonio Sicilia