Elisa Ferreira, 58 anni, eurodeputata socialista dal 2004, è una delle voci più influenti nel Parlamento europeo (PE) sulla crisi del debito, la riforma delle regole di governance economica e i programmi di aiuti per il Portogallo, la Grecia, l’Irlanda e Cipro. Ferreira è una degli eurodeputati che ha dato impulso all’indagine del Parlamento europeo sull’attività della troika – il gruppo composto dalla Commissione europea (CE), dalla Banca centrale europea (BCE) e dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) – che ha negoziato e monitorato l’attuazione dei programmi di risanamento, costituenti la contropartita agli aiuti finanziari concessi a questi quattro paesi.
Intervistata per Publico, il noto quotidiano portoghese, da Isabel Arriaga E Cunha, ecco cosa ha dichiarato a proposito della troika e della mancanza di democrazia in Europa.
L’inchiesta del PE sulla troika è per la mancanza di trasparenza con cui opera la stessa o sulle ricette imposte ai paesi sotto programma di aiuto?
Entrambe le cose. Diamo un’occhiata alla sostanza ed alla qualità delle raccomandazioni agli Stati, perché la qualità è pessima. E cerchiamo di capire quali sono i limiti di una certa interruzione del processo democratico che si è verificata con la troika, perché passando da un sistema con una certa base istituzionale per la definizione dell’interesse europeo ad un sistema basato interamente sulla logica intergovernativa, la Commissione europea e il Parlamento europeo – che sono i garanti dello spirito comunitario- sono quasi scomparsi dalla scena e i paesi più forti hanno assunto un ruolo di “tutela” nei confronti dei paesi più deboli. Quando abbiamo chiesto ai membri della troika a chi rispondono e chi li controlla, abbiamo preso atto che non rispondono a nessuno. La BCE dice di avere una funzione prevalentemente tecnica, il FMI è un organismo con un proprio profilo di livello mondiale. E anche la CE apparentemente non rende conto a nessuno.
La CE dice che fa il lavoro tecnico, ma che è l’Eurogruppo [dei ministri delle finanze dell’euro] a decidere…
Quando l’abbiamo chiesto al Presidente dell’Eurogruppo, [Jeroen] Dijsselbloem, ha concluso, con una frase quasi disperata, che il responsabile è lui è in quanto presidente. Ma quale controllo può esercitare egli, non disponendo di personale tecnico sufficiente per monitorare con attenzione il lavoro della troika? Egli assume una posizione di responsabilità istituzionale. La CE dice di dipendere dall’Eurogruppo, il Fondo monetario internazionale dice di dipendere dal suo consiglio generale. Ma non è possibile che non vi sia alcun responsabile per quanto sta accadendo nei paesi sottoposti ad aiuti, che subiscono gli effetti recessivi di un’agenda di riforme a dir poco brutale. La mia preferenza è per un metodo comunitario che si basi sul potere di iniziativa della CE, con il controllo del PE e la conferma del Consiglio [dei ministri UE], riguardo alle politiche di risanamento nei paesi alle prese con situazioni economico-finanziarie gravi.
I governi sostengono che così come sono loro a dare i finanziamenti, così devono essere loro a controllare l’intero processo …
Il finanziamento stesso, in verità, non dovrebbe venire dai governi. Le cose sono tutte collegate. Al momento usiamo i fondi che provengono dai governi a causa dei limiti di funzionamento dell’Europa monetaria. Da ciò dobbiamo trarre che l’unione monetaria attuale è sbilanciata a favore di alcuni paesi, con una moneta che non può essere svaluta o rivaluta, dove i paesi non possono utilizzare il proprio bilancio per stimolare l’economia, e che tutto questo non fa che aggravare gli squilibri esistenti. Le conseguenze del non affrontare adeguatamente i nodi attuali dell’unione monetaria sono molto gravi e si riflettono nell’esistenza di mostruosità come la troika, che è un’aberrazione totale per la logica politica di tutto il progetto europeo.
Ma che potere ha il PE di cambiare qualcosa?
Noi non siamo la pallottola d’argento che risolve tutto. Nondimeno pur essendo un parlamento PE sbilanciato a destra e più pro-austerità, è stata l’unica istituzione che si è alzata per ostacolare un certo tipo di agenda . Poi se un provvedimento viene adottato attraverso un accordo intergovernativo, come è stato il caso del trattato fiscale, cosa può fare il PE? Legalmente si è al di fuori dall’ambito di sua competenza, ma politicamente abbiamo il diritto ed il dovere di stare nella discussione. Ma naturalmente si tratta di una lotta dura.
di Redazione
Da: publico.pt/
Traduzione a cura di Scenari Globali