L’Europa dell’Euro ha avuto un solo vincitore: la Germania. Bastano i saldi delle partite correnti dei Piigs a dimostrarlo. Tutti col segno meno. Dura legge dell’economia: se c’è un paese in surplus, va le a dire che esporta più di quanto importa, deve essercene uno, o più di uno, che va in rosso, nel senso che importa più beni e servizi di quanti ne esporta.
E dire che prima dell’entrata in vigore dell’Euro le cose non stavano assolutamente così. Tra il 1992 e il 2000 la Germania ha solo accumulato debiti con l’estero, mentre in Italia volavano le esportazioni. Poi le posizioni si sono rovesciate. C’entra qualcosa la moneta unica? Evidentemente si. Dovremmo parlare di tasso di cambio Marco-Euro, di svalutazione in termini reali e di politiche di moderazione salariale relativamente alla Germania. Non lo facciamo, perché c’è molta letteratura scientifica al riguardo, sicuramente più pregnante di ogni altra considerazione che si potrebbe fare, fugacemente, in questa sede. Rimane però un dato, del tutto inoppugnabile: da quando c’è l’Euro la Germania ci riempie dei suoi prodotti e noi (Paesi Piigs) ci indebitiamo con la Germania.
E dire che le stesse regole d’ingaggio dell’Europa unita questo non lo consentirebbero. Lo dicono i parametri Ue, ma noi ce ne siamo proprio dimenticati: siamo così presi dalla favola della “crisi del debito pubblico” e terrorizzati dallo spread e dal deficit di bilancio, che non sappiamo guardare più ai nostri problemi – e ai nostri interessi – reali. Noi e il resto dei Piigs.
In questi giorni, però, il tema è balzato agli onori della cronaca. Per caso qualche paese dell’Eurozona si è ribellato a questa ingiustizia? Macché. Tutto è partito dal Tesoro americano, che ha esplicitamente accusato la Germania di esportare ad un tasso superiore al consentito ed a danno dei partner dell’Europa meridionale. Di fronte ad una così clamorosa presa di posizione degli Usa, il commissario europeo agli Affari monetari Olli Rehn, finora molto taciturno sull’argomento, ha dovuto perciò dire la sua. Candidamente ha dovuto riconoscere che il surplus delle partite correnti tedesche è stato del 7% nel 2013, con una previsione del 6,6% nel 2014 e del 6,4% nel 2015. Ciò a fronte di una soglia che i trattati avevano fissato al 6%.
Ora del caso dovrebbe occuparsene la Commissione.
Ecco, la Germania non rispetta i parametri europei e si arricchisce alle spalle dei suoi partner. Forse che lo sforamento del 6% nel rapporto tra surplus della bilancia commerciale e Pil è meno rilevante e imbarazzante dello sforamento delle soglie previste per il rapporto deficit/Pil e debito/Pil? Certo che no, anzi. E’ proprio questo squilibrio determinatosi nel mercato, non il debito pubblico dei singoli paesi, che sta minando alla radice l’edificio dell’unione monetaria e mandando in rovina una serie di economie, a cominciare da quella italiana. Farebbe bene il nostro paese, perciò, a valutare l’ipotesi di uno sforamento del tetto del deficit, per rilanciare la domanda interna e l’occupazione. Non ci sono alternative nell’immediato, sebbene dal Governo su questo punto insista il silenzio più assoluto.
Il mix di indebitamento con l’estero e di austerità sta stremando l’economia italiana e quella degli altri paesi “disgraziati” di questa strana Europa. Ma niente paura: il nostro premier viaggiatore ci ha garantito che forse alla fine del 2014 “agganceremo” la ripresa. Quale, di grazia?
di Luigi Pandolfi