La questione della tutela dei diritti e libertà fondamentali in Ungheria preoccupa l’Unione europea. Il 3 maggio l’Ungheria ha ricevuto varie lettere dalla Commissione europea sulla riforma della Costituzione magiara approvata l’11 marzo scorso
Bruxelles chiede al governo di Budapest «di fornire spiegazioni convincenti per evitare l’apertura di una procedura d’infrazione». Il Parlamento europeo, già nella seduta plenaria del 17 aprile a Strasburgo, aveva definito “anti-democratica” la controversa riforma costituzionale presentata dal primo ministro ungherese Viktor Orban e approvata dall’assemblea parlamentare di Budapest nel mese di marzo. Le modifiche alla Carta costituzionale magiara limitano le libertà di stampa e di espressione (è stata ridotta la possibilità per i partiti politici di opposizione di fare campagna elettorale attraverso i media nazionali). È stata anche limitata la possibilità di lasciare il paese per i giovani magiari laureati, vincolando la concessione di sovvenzioni statali per i loro studi solo se si impegnano a lavorare per 10 anni in Ungheria dopo la laurea. Anche il potere della Corte Costituzionale nell’esercizio del controllo sulle leggi approvate dal parlamento è stato ridimensionato, dal momento che potrà intervenire solo su questioni procedurali e non potrà entrare nel merito delle leggi. Sono state cancellate anche tutte le pronunce della stessa Corte precedenti all’entrata in vigore della nuova Costituzione.
Gli eurodeputati sollevano seri dubbi di compatibilità di queste modifiche con il diritto dell’Unione europea. Secondo Strasburgo, infatti, le disposizioni normative contenute nell’ultima riforma costituzionale ungherese, che restringono la libertà di stampa, di espressione e bloccano il naturale corso della giustizia costituzionale, contrastano con gli standard di tutela dei diritti umani riconosciuti nella Carta di Nizza e, altresì, nella Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, che, lo ricordo, non fa parte del diritto dell’Unione europea propriamente detto ma rientra tra i “principi generali” dell’ordinamento comunitario e devono pertanto essere rispettati dagli Stati membri dell’Unione europea sia dalle sue istituzioni. Durante il dibattito di aprile, il Parlamento europeo ha anche trattato la questione della norma approvata insieme alla recente riforma costituzionale dall’Assemblea ungherese lo scorso 11 marzo, che introduce una tassa ad hoc a carico dei cittadini ungheresi per pagare le eventuali sanzioni provenienti da una condanna, da parte dell’Unione europea, successiva all’apertura di una procedura di infrazione. Questo procedimento giudiziario è previsto dagli articoli 258-260 del Trattato di funzionamento dell’Unione europea (TFUE), e prevede l’accertamento da parte della Corte di giustizia Ue di un inadempimento da parte degli Stati membri degli obblighi loro derivanti dal diritto dell’Unione. Se viene accertato l’inadempimento è previsto il pagamento di una somma pecuniaria.
Attualmente l’Ungheria sta già affrontando due di questi procedimenti davanti alla Corte del Lussemburgo, a causa delle precedenti riforme costituzionali varate da Orban ed entrate in vigore nel 2012. Il leader dell’eurogruppo dei Socialisti, Hannes Swoboda, ha criticato la quarta riforma negli ultimi quindici mesi della Costituzione ungherese affermando che «in un paese che rispetta il principio dello Stato di diritto, non è accettabile limitare i diritti e penalizzare i cittadini». Rebecca Harms, copresidente del gruppo dei Verdi, ha precisato che parlare del caso ungherese in assemblea plenaria non significa occuparsi «semplicemente della politica interna di uno Stato membro perché lo stato di diritto e i diritti civili sono al centro del progetto europeo. Se queste rimangono parole vuote significa che rinunciamo all’essenza stessa del progetto dell’Unione europea». Il deputato ungherese Lajos Bokros (European Conservatives and Reformist), nel suo intervento in plenaria, ha denunciato apertamente il governo Orban di prendere «la strada di un regime autoritario». L’Assemblea di Strasburgo ha anche espresso preoccupazione per quanto approvato dal Parlamento di Budapest in materia di diritti civili.
Mentre in Francia, ad esempio, si apre a nuove forme di unione civile, e in ogni caso è aperto un dibattito in altri Stati membri UE, in Ungheria i diritti dei conviventi vengono negati, perché l’unica famiglia riconosciuta legalmente è quella fatta dal legame matrimoniale tra un uomo e una donna. L’esigua opposizione rappresentata dai socialisti al momento del voto sulla riforma della costituzione l’11 marzo scorso è uscita dal Parlamento e ha organizzato una protesta di piazza per chiedere al presidente della Repubblica Janos Ades di porre il veto al testo normativo che modifica la Costituzione. Il Fidesz, partito conservatore di cui è presidente Viktor Orban e che conta sull’appoggio del movimento d’estrema destra, etichetta queste proteste come tentativi dell’apposizione di ottenere legittimazione politica e rivendica il diritto di modificare profondamente la nazione per inseguire il mito della grande Ungheria. Viste le difficoltà incontrate all’interno del Parlamento ungherese dall’opposizione, rappresentata dal Partito socialista (Mszp), per bloccare la riforma del governo Orban, il gruppo dei Liberali europei durante la seduta dello scorso 17 aprile a Strasburgo ha incoraggiato l’intervento dell’Unione attraverso il ricorso all’articolo 7 del Trattato sull’Unione europea (TUE) che prevede una procedura “politica” di accertamento e quindi la possibilità di comminare sanzioni allo Stato ritenuto colpevole di violazione (“grave e persistente”) dei diritti umani. Procedura “politica” e non giurisdizionale giacchè le istituzioni dell’Unione europea coinvolte sono, non già la Corte di giustizia, bensì il Consiglio europeo ed il Consiglio UE (conosciuto come “dei ministri nazionali”); vale a dire le due istituzioni che rappresentano gli Stati membri e i loro governi. Dalla lettura dell’articolo 7 traspare immediatamente la difficoltà emersa in sede di negoziazione. La norma in questione autorizzerebbe, dopo una procedura molto travagliata e complessa, la sospensione conseguente alla violazione da parte dello Stato “incriminato” di alcuni diritti e libertà fondamentali (ad esempio erogazione di fondi strutturali ecc.), fino alla extrema ratio della sospensione del diritto di voto in seno al Consiglio (dei ministri). Che lo ricordo insieme al Parlamento europeo è il “legislatore dell’Unione”. [A fondo post si legga l’art. 7 TUE nella sua versione integrale.]*
La vicepresidente della Commissione europea, Viviane Reding, in sintonia con le inquietudini espresse dagli eurodeputati, ha affermato che una procedura di infrazione “ordinaria” sarà avviata non appena terminate le valutazioni legali dell’istituzione presieduta da Manuel Barroso. Rispetto al possibile ricorso alla procedura speciale ex articolo 7 TUE la vicepresidente si è dimostrata scettica, considerando sproporzionato il ricorso a quella norma. In verità l’art. 7 non è mai stato utilizzato sin dalla sua istituzione nel 1997 allorchè fu previsto per il caso Heider in Austria, poi rientrato. Questo atteggiamento dimostra la difficoltà (politica) di utilizzare siffatta procedura troppo politica e nella competenza delle istituzioni rappresentative degli Stati. Come dire che l’organo rappresentativo degli Stati (e dei governi) – Consiglio europeo e Consiglio dei ministri – debba “punire” uno Stato loro membro! I richiami delle scorse settimane provenienti da Strasburgo e da Bruxelles finora sono rimasti inascoltati. Come era successo nel dicembre 2010, quando con una legge liberticida Orban sottoponeva i media nazionali ad un rigido controllo da parte di un’autorità nominata in parlamento e formata da esponenti del partito Fidesz di cui era leader (vennero colpiti all’epoca numerosi giornali d’opposizione, reti televisive e i siti internet, con multe pecuniarie alte perché ritenuti dall’autorità garante responsabili di “compromettere la dignità umana”,ma il motivo reale era che essi potevano ledere gli interessi del partito di maggioranza), anche in questo caso le critiche provenienti dai deputati dell’Unione europea non vengono prese in considerazione. Il Fidesz le considera come un tentativo di ingerenza nella politica interna ungherese da parte dell’Unione europea non considerando, incredibilmente, il Trattato e i vincoli/obblighi che questo comporta. E’ ancora immaginabile una partecipazione all’Unione europea con un approccio di tipo essenzialmente “nazionalistico”? Solo benefici, fondi, aiuti? E proprio in una materia quella dei diritti umani in cui l’Unione è fortemente impegnata nella risoluzione delle disparità di trattamento?.
di Massimo Fragola – http://massimofragola.blogspot.it