C’è poco da dire: per Angela Merkel è stato un trionfo. La Germania ha premiato la cancelliera venuta dall’est che ha posto il suo paese sul piedistallo più alto del concerto europeo. Basta fare qualche passo indietro per comprendere questo sentimento.
Prima che entrasse in scena la moneta unica la Germania non se la passava un granché bene, ancorchè la sua economia restava tra le più forti d’Europa. Poi il grande balzo in avanti.
Proprio grazie all’euro ed alle politiche di compressione della spesa pubblica, il paese ha potuto beneficiare di un forte vantaggio competitivo sui mercati del continente ed anche su quelli emergenti. Da un lato il tasso di cambio ribassato del 15-20% rispetto all’ipotesi di mantenimento della divisa nazionale, dall’altra il deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro ed allo yen, hanno fatto prendere il volo alle esportazioni tedesche, passando dal disavanzo al surplus della bilancia commerciale. Un dato su tutti: prima dell’introduzione della moneta unica le esportazioni tedesche verso i paesi europei costituivano il 25% del totale, poi, almeno fino al 2012, la percentuale è salita fino al 70%. E’ vero, negli ultimi tempi il meccanismo sembra non funzionare più come una volta, stante il calo registrato nei primi mesi di quest’anno nel volume delle esportazioni. Ma gli effetti di questa inversione di tendenza potranno avere ricadute politiche tra qualche anno. In questa tornata elettorale c’èra da incassare il dividendo della “vittoria” tedesca nei rapporti con gli altri partner dell’Europa unita. E così è stato.
E ora? Non c’è dubbio che il successo della Merkel suoni come una campana a morto per ogni ipotesi di modifica della linea del rigore fine a se stesso finora assurta a pilastro della costruzione europea. A meno che gli altri paesi membri dell’Unione non prendano atto dell’impossibilità di fare affidamento su un cambio di linea politica in Germania e assumano essi stessi l’iniziativa di imporre una riscrittura dei criteri di convergenza attualmente vigenti.
In questa direzione un ruolo da protagonista dovrebbe svolgerlo il nostro paese, la cui economia registra segni di sofferenza maggiore rispetto a quella degli altri partner europei. Più che sul rischio di sforamento del tetto del deficit e su quello di una nuova procedura di infrazione, il dibattito interno dovrebbe essere concentrato sulle strategie da adottare per divincolarsi dalla morsa asfissiante dei paletti imposti al bilancio pubblico dal patto di stabilità. L’Italia, insomma, dovrebbe porsi a capo di una cordata europea la cui missione dovrebbe essere quella di cambiare le regole di ingaggio dell’Unione economica e monetaria.
Mettiamo i piedi per terra. Il governo Letta sarebbe in grado di assume una simile iniziativa? No, evidentemente. Sia perché debole politicamente, sia perché ideologicamente subalterno alla linea dell’austerità. Dunque? C’è solo da sperare che i dati provenienti dall’economia e dalla società facciano rinsavire le forze politiche di questo paese e che un nuovo governo, il più presto possibile, si assuma la responsabilità di percorrere quella strada, irta, certo, ma inevitabile.
Dopo le elezioni tedesche, ci affidiamo, ordunque, alle elezioni italiane. Con l’auspicio che il confronto politico verta su questi temi e non sulla camera da letto di Berlusconi. Nel frattempo, mentre il Pd decide cosa fare da grande, sarebbe opportuno delimitare il campo delle forze che vogliono il cambiamento di questa Europa. In Germania, nonostante il trionfo annunciato dei cristiano – democratici, si è registrata qualche piacevole novità: Die Linke diventa la terza forza del paese ed entra in parlamento con 64 deputati. Un esempio incoraggiante anche per la sinistra dispersa del nostro paese?
di Luigi Pandolfi
pubblicato anche su http://www.huffingtonpost.it/