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L’Irlanda ha un piano B: uscire dall’Euro

I nostri attuali problemi economici non sono iniziati con la crisi del debito ma affondano le radici nella decisione di aderire all’Eurozona. Con la Troika che ha lasciato l’Irlanda nel Dicembre 2013, può sembrare strano chiedere il default sul nostro debito e l’uscita dall’Eurozona. Istintivamente, la gente non vuole nessuna delle due cose. La prima implicherebbe il rifiuto di quello stesso debito che ci siamo liberamente accollati. La seconda comporterebbe rinunciare all’attuale grande progetto dell’Unione Europea.

E dopotutto i problemi dell’eurozona sono stati risolti, no? Ascoltate con attenzione le parole di qualcuno che dovrebbe saperlo – Mario Draghi, presidente della Banca Centrale Europea.
A Gennaio Draghi ha respinto come “prematuri” gli ottimistici commenti di Jose Manuel Barroso, presidente della Commissione Europea, che in precedenza aveva previsto che l’eurozona si sarebbe lasciata la crisi alle spalle nel 2014.

O considerate le parole dell’ex presidente della Banca Centrale Tedesca, Axel Weber. Al World Economic Forum di Davos a gennaio egli ha detto che gli squilibri sottostanti alla crisi continuavano a deteriorarsi e che probabilmente quest’anno l’eurozona dovrà  affrontare un nuovo attacco dei mercati. “L’Europa è sotto minaccia. Sono tutt’ora molto preoccupato. E’ migliorata la situazione dei mercati, ma non la situazione dell’economia della maggior parte dei paesi” ha dichiarato.

Dal 2008, l’Irlanda (e il resto dell’Eurozona) è rimasta intrappolata nella crisi del debito. Potreste aver pensato che, avendo fatto enormi sacrifici, stiamo gradualmente ripagando i nostri debiti. Ma guardando ai dati forniti da una pubblicazione della scorsa estate del FMI sull’indebitamento totale (ovvero la somma del debito pubblico, delle aziende e delle famiglie, rispetto al PIL) negli anni 2003, 2008 e 2012, in una selezione di paesi dell’eurozona, possiamo osservare che dal 2008, in tutta l’Eurozona, i livelli del debito aggregato sono notevolmente aumentati (invece che diminuiti).  Il maggior incremento è stato sperimentato dall’Irlanda.

Abbiamo il più grande livello di debito aggregato di tutti i paesi osservati. Perché stiamo facendo così pochi progressi a livello economico nonostante che sopportiamo così tanti sacrifici? Secondo me, le autorità hanno sbagliato la diagnosi del problema.
La loro ricetta di politica economica, il Piano A, non sta funzionando. Le autorità non vedono che è stata la decisione dell’Irlanda di aderire all’Eurozona a gettare i semi della nostra crisi finanziaria. Invece, i decisori politici più autorevoli – come Patrick Honohan, governatore della Banca Centrale – ci vorrebbero far credere che la crisi è “per tre quarti fatta in casa”.

La dura realtà è che l’eurozona non avrebbe mai dovuto essere creata tra i suoi membri originari. La diversità nei cicli economici e nelle specificità dei modelli nazionali, combinata con la mancanza di una reale integrazione tra le economie nazionali dell’Eurozona, fa sì che l’eurozona sia ben al di sotto delle condizioni necessarie per una area valutaria funzionale.

Ciò significa anche che un tasso d’interesse che sia adatto in linea di massima per l’intera Eurozona può essere del tutto inappropriato per aree significative all’interno dei suoi confini. Tra il 1997 e il 2007 questo ha significato che l’Irlanda (e il resto della periferia dell’Eurozona) ha avuto dei tassi d’interesse di gran lunga troppo bassi per le sue condizioni. Il risultato di un tale credito sotto costo è stato un boom del credito, un boom immobiliare, un boom dell’occupazione, un boom del settore pubblico e un boom dei costi.

Alla fine tutti questi boom si sono trasformati in un crollo. Non sono i Paddies [così vengono chiamati affettuosamente gli irlandesi dal diminutivo di Patrick, ndT] incapaci e festaioli  quelli che devono essere rimproverati per la crisi economica irlandese, ma gli europei dalle pie illusioni e dalle dubbie competenze, che giocavano ai Lego col sistema valutario – di cui allora non hanno capito il funzionamento,  e a tutt’oggi ancora non lo capiscono.

Oggi, ci sono tre ragioni principali per le quali dovremmo cercare di uscire dall’Eurozona:

Ragione 1
L’Eurozona ci assegnerà quasi sempre dei tassi di interesse inappropriati per le nostre esigenze. Dal 1997 al 2007 sono stati troppo bassi. Dal 2008 sono stati troppo alti. Il risultato è stato un’economia nazionale che ha oscillato da un decennio di abbuffate ad una dieta da fame. Per ottenere tassi d’interesse giusti per l’Irlanda dovremmo ripristinare l’indipendenza monetaria o allinearci ad una valuta giusta per noi (anziché inadeguata), ad esempio la sterlina.

Ragione 2
Cedendo il controllo della nostra politica monetaria a Francoforte, l’ Irlanda ci ha rinunciato. Questo significa che la politica monetaria che è stata seguita con successo negli USA e in UK (quantitative easing, QE) è negata all’Irlanda. Sebbene quei paesi abbiano come noi grandi problemi di debito, grazie all’uso del QE hanno sofferto molto meno lo stress economico rispetto all’Irlanda. Per seguire gli USA e l’UK su questa strada, dobbiamo riprenderci indietro l’indipendenza monetaria dai sado-monetaristi di Francoforte.

Ragione 3
Uscendo dall’euro possiamo permettere alla nostra valuta di assestarsi su un nuovo e più basso livello in modo che con ogni probabilità possa stimolare la crescita economica e l’occupazione. In condizioni normali, se un paese soffre una dura crisi economica la sua moneta si deprezza e agisce un po’ come un airbag per l’economia, in modo da assorbire alcuni degli effetti deflazionistici della recessione. Gli effetti della svalutazione della moneta nazionale sono di rendere le esportazioni e il turismo nazionali più competitivi. Ma, dal 2007, la nostra moneta, l’euro, è cresciuta – non calata – del 25% rispetto alla sterlina. Se fate i calcoli con i tassi di cambio attuali, potete verificare che una vecchia sterlina irlandese adesso varrebbe 1.05 sterline inglesi. Questo cambio è alto in modo allarmante per l’economia irlandese, che rimane molto debole. L’alternativa alla correzione dello squilibrio nei tassi di cambio tramite uscita dall’euro (svalutazione esterna) consiste nel correggere gli squilibri con ancora più Piano A – o, in altre parole, con la svalutazione interna, tramite taglio dei costi, taglio dei salari e ancora maggiori sacrifici economici.
Le implicazione del Piano A sono state recentemente espresse in modo molto chiaro a Dublino dalla Dott. Pippa Malmgren, consigliere economico del precedente presidente degli Stati Uniti George W. Bush.

 Malmgren ha detto: “Dovete accettare 20 anni senza crescita. E’ l’unica altra opzione. E’ quello che i decisori politici europei si aspettano che l’Irlanda faccia. Ma la domanda è: il popolo irlandese ha abbastanza resistenza per farsi carico di così tante sofferenze?”. I difensori del Piano A contesteranno che non abbiamo scelta. Invece ce l’abbiamo. Il Piano B – l’uscita dall’Eurozona e una ristrutturazione gestita del debito (cosa che la Independent News and Media Plc hanno già affrontato con successo negli ultimi 12 mesi) – è l’alternativa per l’Irlanda. Ha costi notevoli, ma offre prospettive considerevolmente migliori che altri 20 anni di Piano A.

di  Cormac Lucey

http://vocidallestero.blogspot.it/

Nota
Cormac Lucey programme director del Diploma in Business Finance alla IMI. Il suo nuovo libro – “’Plan B: How Leaving the Euro Can Save Ireland’” – è pubblicato da Gill&Macmilan e disponibile da oggi.

 

Scritto da Redazione

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