Nelle ultime settimane di Grecia si è parlato quasi esclusivamente per l’orrore del giovane rapper assassinato da manigoldi di Alba Dorata e per il successivo giro di vite del governo sulla formazione neonazista, il cui potenziale eversivo è cresciuto di pari passo con l’acutizzarsi della crisi economica e del disagio tra i cittadini.
Per il resto, a che punto stiamo? A sentire Olli Rehn, il commissario europeo per gli Affari economici, si incomincerebbero ad intravedere “incoraggianti segnali di stabilizzazione dell’economia ed un ritorno degli investimenti”. Evidentemente l’esponente della Commissione si riferiva al fatto che la contrazione del Pil ellenico nel 2013 sarà inferiore alle stime iniziali, -4% contro il – 4,2% che aveva pronosticato la Troika ad inizio anno.
Ci sarebbe da ridere, se le situazione non fosse così grave da far presagire scenari a dir poco disastrosi per i prossimi anni. Attualmente il tasso di disoccupazione in Grecia è intorno al 28%, con quella giovanile al di sopra del 60%, cifre che non hanno precedenti nei paesi occidentali da trent’anni a questa parte. Se si sommano gli attuali 1,35 milioni di disoccupati effettivi con il numero di coloro che non hanno un lavoro né lo cercano più, si arriva a cifre inimmaginabili: circa 5 milioni di persone attive senza un’occupazione su una popolazione totale di 10 milioni di abitanti!
E per il futuro? Secondo un rapporto pubblicato dall’Istituto per il Lavoro della Gsee, il più grande sindacato ellenico del settore privato, fra tre anni il tasso di disoccupazione toccherà la soglia record del 34%. Solo per fare un raffronto con la storia, nella Repubblica di Weimar il tasso di disoccupazione generale non supererà mai la soglia del 30%.
In questo contesto si è aperto l’ennesimo braccio di ferro tra il governo di Atene e gli emissari della Troika. Quest’ultima avrebbe prospettato per la Grecia un nuovo piano di salvataggio, il terzo, che prevedrebbe ulteriori tagli alla spesa e nuove tasse per il 2014. Il pacchetto di misure, che avrebbe una consistenza di 4-6 miliardi di euro, dovrebbe, secondo gli esperti Ue-Bce-Fmi, coprire parte del deficit relativo al biennio 2014 -2015, stimato in 11 miliardi di euro. Da parte sua il governo è consapevole dell’impossibilità di adottare nuove misure di austerità a fronte di un’economia e di una società stremate dalle politiche di questi anni, ma, anziché rovesciare il tavolo, chiedendo con decisione un cambiamento di atteggiamento dell’Unione nei confronti del proprio paese, tenta di “aggirare” l’ostacolo con ardite operazioni di dismissione del patrimonio pubblico, che, al di là del valore economico, costituiscono un vero e proprio oltraggio alla dignità dello Stato.
E così, dopo la svendita di alcuni immobili di pregio che il paese deteneva all’estero, tra cui una casa vittoriana a Londra ed altri immobili nelle città di Bruxelles e Belgrado, l’esecutivo Samaras è passato alla liquidazione delle sedi ministeriali. Tra gli edifici dismessi, ci sarebbero quelli del ministero dell’Istruzione, della Sanità e della Giustizia, e finanche quello della centrale di polizia di Atene. L’operazione avrebbe in ogni caso fruttato soli 145 milioni di euro. Spiccioli per la Troika, che dalle privatizzazioni aveva previsto un incasso di complessivi 24 miliardi di euro.
Intanto sul tavolo dei commissari europei è arrivata la legge di stabilità per il 2014. Secondo alcune indiscrezioni, rilanciate dai principali giornali ellenici, la Commissione europea avrebbe espresso già molte perplessità sul documento contabile e sarebbe orientata a bollarlo come un atto insufficiente ad assicurare un sostanziale equilibrio dei conti pubblici. Altro pepe su una ferita ancora aperta, si potrebbe dire.
Ma non basta. Tra gli interventi che la Troika ha recentemente chiesto al paese ce n’è uno che merita un supplemento di riflessione. Si tratta della richiesta di smantellare due aziende statali che costruiscono ed esportano armi e veicoli militari, EAS (Ellinika Amyntika Systimata, Sistemi di Difesa Ellenici) e la ELBO (Elliniki Viomihania Ohimaton, Industria Automobilistica Ellenica). Secondo i “creditori” queste aziende non potranno più essere mantenute dallo stato perché i loro bilanci si chiuderebbero ormai sistematicamente in rosso, con gravame insopportabile sui conti dello Stato.
Sarà anche vero, ma è altrettanto vero che dal 2009, da quando il paese si è sottoposto al “salvataggio” delle istituzioni internazionali, l’unico capitolo di spesa del bilancio pubblico che non mai stato alleggerito è proprio quello della difesa. E si, perché nonostante la crisi fragorosa, in questi anni la Grecia ha continuato a spendere fior di quattrini per acquistare sottomarini e carri armati dalla Germania e fregate ed elicotteri dalla Francia, per non parlare delle armi leggere, tante da far pensare a chissà quale apocalisse bellica nello sfortunato paese.
Un anno fa il Wall Street Journal scriveva che Berlino e Parigi avevano “preteso” le commesse di Atene per armamenti, subordinando ad esse l’approvazione del piano di “salvataggio”. Non sarà un caso, perciò, se per il 2012 la Grecia ha previsto una spesa militare di 7 miliardi di euro superiore a quella dell’esercizio precedente, il 18,2 per cento in più rispetto al 2011. Una spesa che vale il 3% del Pil. Per fare dei raffronti, quella dell’Italia è pari al 1 %del Pil, quella russa e degli Usa intorno al 4%. Può la situazione in cui versa la Grecia oggi giustificare un esborso per spese militari che, in rapporto alla ricchezza nazionale, è più vicina a quella di Usa e Russa che a quella dell’Italia?
Ora, anziché chiedere una riduzione corposa delle spese militari, la Troika chiede ad Atene di chiudere le proprie fabbriche di armamenti. C’è una logica? Forse si, ma non c’entra nulla col risanamento. Piuttosto riguarderebbe gli appetiti dell’industria bellica di alcuni paesi occidentali, tra cui la Germania, che avrebbe tanto da guadagnare da una situazione siffatta.
Grecia, un paese ai saldi. Questa è l’unica conclusione alla quale si può giungere commentando il disastro economico, politico e morale in cui il paese è immerso. Un disastro funzionale alle nuove forme di colonialismo che stiamo conoscendo, quelle che non richiedono più l’occupazione materiale dei paesi che vi sono sottoposti. Sarà per questo che oggi nessuno parla più di “civilizzazione” ma semplicemente di “salvataggio”.
di Luigi Pandolfi