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Grecia, sotto attacco la libertà di informazione

Dalla mezzanotte dell’11 giugno la televisione di stato greca Ert ha smesso di trasmettere i suoi programmi. E’ l’ultimo atto di violenza che viene perpetrato a danno del popolo e della democrazia ellenica, su ordine della Troika.

 

Alla base di questa sciagurata decisione non c’è il malfunzionamento dell’emittente, come ipocritamente ha sostenuto il governo, ma due motivi strettamente legati alla gestione della crisi da parte delle autorità locali, che rimandano agli impegni contenuti nei famosi memorandum approvati dal parlamento per ricevere gli “aiuti” della Ue e del Fondo monetario internazionale ed all’esigenza di mettere il bavaglio ad una informazione corretta, veritiera, sui disastri causati dalle politiche di austerity.

Il punto 9 dell’ultimo “memorandum” parlava esplicitamente del licenziamento e della cassa integrazione nel settore pubblico per 15.000 persone  entro il 2012,  da elevare a 150.000 entro il 2015. Secondo la Troika però il governo greco non avrebbe rispettato la tabella di marcia concordata, che prevedeva, proprio per il comparto radiotelevisivo, il licenziamento immediato di 2000 dipendenti.

Ecco allora che Samaras è corso ai ripari: chiusura della televisione e tutti a casa, 2800 persone circa. Prendendo due piccioni con una fava. L’ha fatto in maniera proditoria, attraverso un decreto ministeriale “avente forza di legge”, un atto di dubbia legalità costituzionale, che molti in queste ore si spingono a definire un vero e proprio colpo di stato.

Il fatto è di una gravità inaudita, e non solo perché colpisce nel loro diritto al lavoro migliaia di pubblici dipendenti, chiamando ancora una volta in causa l’insostenibilità delle politiche di rigore che hanno ammazzato il paese. Qui c’è di mezzo la libertà di informazione, il pluralismo.

La Grecia è diventata il laboratorio di tutte le nefandezze che si possono commettere in nome della sublimazione dell’economia finanziaria. Di fronte alle esigenze degli speculatori, delle banche, non ci sono diritti che tengono. E se non tengono il diritto al lavoro, alla casa, all’istruzione, alla salute, figuriamoci se può tenere quello all’informazione.

Ma la Grecia non è un paese della periferia del mondo. La Grecia è l’Europa, la culla della sua civilizzazione. Anche della sua cultura democratica. Ma l’Europa l’è matrigna, ne sta uccidendo il futuro. Eppure a sentire gli euroburocrati il paese avrebbe fatto “grandi progressi” in questi anni, pensando, evidentemente, non allo stato in cui versa la sua popolazione ma solo alla condizione di dei sui conti pubblici.

Il problema è che, in Grecia come nel resto d’Europa, c’è ormai un’asimmetria evidentissima tra lo stato di salute della finanza pubblica e quello dell’economia reale. Più ci si avvicina all’obiettivo del pareggio di bilancio, più i cittadini scivolano verso la miseria. Un tempo l’indice di progresso misurava il grado di avanzamento di un paese nel campo della sanità, dell’istruzione, delle infrastrutture, dell’informazione, delle nuove tecnologie. Oggi misura la riduzione degli scostamenti nei bilanci degli stati ed il grado di “solvibilità” del debito pubblico, a prescindere dagli effetti che le manovre tese a conseguire questi obiettivi possono avere sulla condizione materiale di vita di milioni di persone e sui livelli di civiltà di un paese.

Intanto nella patria di Omero e di Platone, di Pericle e di Aristotele, dopo l’oscuramento della televisione pubblica,  c’è stata un’altra vittima. Si dice che si chiamasse “democrazia”…

di  Luigi Pandolfi

Scritto da Redazione

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