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Nasce la Terza Repubblica

Cosa rimane della rocambolesca giornata in cui Enrico Letta ha riottenuto la fiducia? C’è chi dirà l’immagine di un Berlusconi sconfitto e in stato confusionale, chi la fotografia di un paese in cui il sistema politico appare sempre più simile ad un teatrino delle marionette. Altri ancora, quelli più volenterosi, sottolineeranno l’importanza che si sia assicurato al paese un governo in grado di ottemperare agli “impegni europei”, mentre i più pessimisti rimarcheranno, a ragione, che questa ripartenza dell’esecutivo Letta implicherà una soggezione ancora maggiore del nostro paese alle folli regole di convergenza previste dall’unione economica e monetaria europea.

Si, alcune di queste cose hanno un loro fondamento, sono vere. Ma non credo che esauriscano il discorso sul significato che la “giornata della fiducia” ha assunto per la politica degli anni avvenire. Essa, dal mio punto di vista, ha messo la parola fine ad una storia iniziata vent’anni fa, quella dell’alternanza tra centrodestra e centrosinistra, ed ha “normalizzato” la formula di governo delle “larghe intese”.

Stiamo parlando del tramonto dell’idea di un centrosinistra alternativo alla destra, anche sul piano formale, ovvero, per essere più chiari, dell’annientamento di ogni residua, ingenua, suggestione, o illusione, sulla possibilità di far vivere, attraverso schieramenti imperniati sul Pd, un’idea alternativa di società e d’Europa.

L’idea, per intenderci, che aveva ispirato la scelta di Nichi Vendola alle scorse elezioni politiche, presto rivelatasi fallace, ingannevole, autolesionista.

Ma la giornata di cui parliamo ha avuto nondimeno un effetto chiarificatore, perché ha dimostrato come il concetto di “alternatività”, in quest’ultimo ventennio, sia stato declinato esclusivamente nel senso di alternatività a Berlusconi, non ai fondamentali del modello neoliberista, autoritario, rigorista che domina in Italia e in Europa.

Solo così si spiega il sollievo con cui dalle parti del Pd avevano salutato la scelta di Berlusconi di negare la fiducia a Letta e la disinvoltura con cui dallo stesso versante ci si apprestava a stappare bottiglie di champagne con i vari Alfano, Formigoni, Giovanardi, Sacconi, Cicchitto, ecc. ecc.

Liberatisi di Berlusconi, della sua oggettiva anomalia, i vertici del Pd hanno lucidamente pensato: evviva, ora possiamo affratellarci nell’azione di governo con i “moderati” del Pdl senza più arrossire in volto, ponendo le basi anche per collaborazioni ed intese future. La giravolta di Berlusconi ha compromesso questo sogno? Diciamo che il Pd, ma anche i “ribelli” del Pdl, avrebbero preferito non assistervi, ma nella sostanza essa non ha scalfito di molto la valenza “costituente” della giornata di cui parliamo. Quelli di Berlusconi sono gli ultimi colpi di coda di un leader al capolinea, nel frattempo quella che doveva essere una formula di governo del tutto “eccezionale” è finita per diventare un modello da trasferire anche nel futuro. L’ha detto chiaramente – o candidamente, se si preferisce – Cicchitto nel suo intervento alla Camera, indicando la collaborazione tra democristiani e socialdemocratici in Germania come un esempio da imitare anche nel nostro paese.

D’altro canto, con l’autonomia dei governi nazionali ridotta a simulacro dai recenti trattati e regolamenti europei in tema di finanza pubblica, è più facile onorare gli impegni verso Bruxelles attraverso intese le più larghe possibili anziché in un contesto segnato da vera conflittualità tra diverse opzioni programmatiche, visioni della società e dell’economia, della stessa Europa.

Da qui il dilemma. E’ possibile che in uno scenario siffatto l’alternativa possa essere incarnata soltanto da un movimento come quello di Grillo? In altri termini, più generali: dobbiamo per forza rassegnarci all’idea che il confronto politico in Italia avvenga tra assertori dello status quo e populisti? Domande. Come questa: c’è spazio in Italia per una sinistra che abbia come ragione sociale la lotta all’Europa dell’austerità, la rappresentanza degli interessi dei ceti popolari, dei precari, dei lavoratori e dei disoccupati, dei giovani e di tutti coloro che non riescono a realizzare la propria vita in questa società? E’ plausibile immaginare la rinascita di una sinistra che, partendo dalla Costituzione, voglia riaffermare il principio dell’uguaglianza di tutti i cittadini e non solo dinanzi alla legge? Niente di eccezionale, per carità. Il problema è che siamo all’anno zero e all’orizzonte non si intravede proprio nulla. Dalla manifestazione del 12 ottobre può venire una spinta in questa direzione? Beh, la risposta qui è semplice: dipende da tutti noi.

di Luigi Pandolfi

Scritto da Redazione

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