di Luigi Pandolfi
«Bene pubblico o ricchezza privata?». E’ il titolo del Rapporto Oxfam 2018, che anche quest’anno, alla vigilia del World economic forum di Davos, ha riacceso i riflettori sulla vera emergenza di questi tempi: la crescita vertiginosa delle disuguaglianze nel mondo. Redditi dei miliardari che aumentano ad un ritmo esponenziale, mentre sono sempre di più le persone che sprofondano nella miseria.
I NUMERI
Tra il 2017 e il 2018 la ricchezza di 1900 miliardari è aumentata di oltre 900 miliardi di dollari (+12%), oltre 2,5 miliardi al giorno. Nello stesso periodo, è crollata dell’11% quella della porzione più povera della popolazione. Tre miliardi e mezzo di individui vivono con poco più di 5 dollari al giorno, 2,4 miliardi sono quelli in condizione di «povertà estrema», per lo più concentrati nell’Africa subsahariana e nell’Asia meridionale. Gli uomini posseggono il 50% in più della ricchezza posseduta dalle donne, che guadagnano, mediamente, il 23% in meno dei colleghi maschi.
E l’1%? Se la passa benissimo, è arrivato a detenere quasi il 50% della «ricchezza aggregata netta» del pianeta. Un dato sconvolgente, al quale fa da contraltare un rallentamento epocale della riduzione della povertà. Secondo la Banca mondiale tra il 2013 e il 2015 il «tasso annuale di riduzione» si è contratto addirittura del 40% rispetto alla media degli anni 1990-2015.
UN FISCO INIQUO
Alla base di questa scandalosa distribuzione della ricchezza, oltre ai cambiamenti intervenuti nella struttura del capitalismo, che da anni accentua i suoi tratti predatori e accresce la sua componente finanziaria, c’è, innanzitutto, un’iniqua ripartizione del carico fiscale tra le varie classi sociali. I poveri, in proporzione, pagano più tasse dei ricchi. Nei Paesi più sviluppati, secondo la stima di Oxfam, l’aliquota massima dell’imposta sui redditi delle persone fisiche è passata, in media, dal 62% nel 1970 al 38% nel 2013 (per ogni dollaro di raccolta fiscale, solo 4 centesimi arrivano dalle tasse sul patrimonio).
IL CASO ITALIANO
Tra i Paesi europei, l’Italia si presenta con un quadro generale che definire «preoccupante» è forse troppo poco. Parlano i numeri. Il 5% dei super ricchi detiene, da solo, la stessa quota di ricchezza posseduta dal 90% dei cittadini più poveri. E non è tutto. A metà 2018 il 20% dei nostri connazionali più abbienti possedeva circa il 72% dell’intera ricchezza nazionale. Complice anche la crisi, che non tutti hanno pagato in egual misura. C’è stato pure chi dalla crisi ne è uscito più forte, come il 10% più facoltoso del Paese, che, proprio a partire dal 2007-2008, ha visto lievitare senza sosta il proprio patrimonio netto. Una catastrofe sociale, il frutto avvelenato di anni passati a smontare pezzo per pezzo il welfare costruito nel dopoguerra, a ridurre la «progressività» dell’imposizione fiscale, a privatizzare i servizi pubblici, a comprimere i salari in nome della competitività sul mercato estero.
DISUGUAGLIANZE E CRESCITA LENTA
C’entra qualcosa la polarizzazione della ricchezza col ristagno dell’economia? Certamente. E il Rapporto di Oxfam lo ricorda, parlando di «danno economico» delle disuguaglianze. Più tasse e meno reddito per le fasce più deboli della popolazione da un lato e la riduzione del carico fiscale «in cima alla piramide» dall’altro, in questi anni hanno tarpato le ali all’economia che chiamiamo «reale», incentivando, nello stesso tempo, lo spostamento di ingenti capitali verso la rendita finanziaria.
Bassa crescita e disparità sociali. Due fenomeni «interconnessi». Perché la debolezza del ceto medio e quella atavica delle classi popolari non aiuta a sostenere i consumi, dai quali è sempre dipesa, in larga parte, la crescita economica nelle società capitalistiche avanzate. Non solo. Lo sprofondamento verso il basso di una quota significativa della classe media, alla quale possono essere associati anche alcuni segmenti di lavoro salariato, quello più qualificato, specializzato e sindacalizzato, ha fatto sì che la stessa investisse sempre di meno nel proprio futuro (e in quello delle proprie attività, nel caso dei piccoli imprenditori) e nel futuro dei propri figli, anche perché il «costo dell’istruzione» è diventato, con gli anni, sempre più elevato, insostenibile per tante famiglie a basso reddito, come l’accesso alle cure, per altro verso.
Squilibri tra Paesi ricchi e Paesi poveri, divario tra ricchi e poveri nello stesso Paese, disuguaglianze sociali come veicolo di instabilità economica. La ricetta di Oxfam: un fisco che intervenga in maniera più «progressiva» sulla ricchezza, più spesa pubblica per sanità ed istruzione.
LE MISURE DEL GOVERNO ITALIANO
Sembra una smentita delle politiche economiche dell’attuale governo italiano, che ha puntato su un insieme disorganico di misure, più per esigenze elettorali che per contrastare il rallentamento dell’economia e ridurre le disuguaglianze. Pochi investimenti, meno tasse per categorie professionali abbienti ed ai grandi gruppi industriali, un reddito di cittadinanza che di fatto prende le sembianze dell’ennesimo «incentivo» alle imprese, oltre che di uno strumento di disciplinamento e di controllo della povertà.
Mettendo da parte le tante «clausole di esclusione» che accompagnano questo provvedimento (e l’esiguità del trasferimento monetario calcolato per nuclei famigliari), non è difficile concludere che lo stesso rischia di irreggimentare la povertà, mettendo lavoratori poveri contro altri lavoratori poveri. Tra chi accede al mercato del lavoro con la «dote» del reddito e chi no.
Parliamo, pur sempre, di un governo che ritiene compatibili misure «redistributive» con la sostanziale abolizione della «progressività» dell’imposizione fiscale. La chiamano flat tax, si legge meno tasse ai ricchi.