Fusioni societarie mal calcolate, cuscinetti di liquidita’ insufficienti, speculazioni finanziarie senza freni, investimenti spregiudicati e deregulation. A tutti questi elementi del settore bancario, che hanno acceso la miccia della bomba subprime e poi del debito europeo, non è stato posto rimedio. Motivo per il quale cinque anni dopo il crac di Lehman brothers, le banche non sono al sicuro, secondo analisti di Wall Street e autorità politiche.
Anche nel caso della crisi asiatica e dei mercati emergenti che hanno ridotto enormemente il valore di rupia indiana, yuan cinese e real brasiliano, tra gli altri, le origini di tutti i problemi sono da cercare nell’ottimismo eccessivo nel settore privato, secondo il premio Nobel Paul Krugman.
L’opinionista del New York Times, noto keynesiano, pone l’accento sugli eccessivi flussi di finanziamento provenienti dall’estero finiti in gran parte nelle casse delle aziende private.
L’ottimismo ha ben presto lasciato il posto al pessimismo, “a una velocità impressionante, esacerbando la crisi”. Nel suo editoriale Krugman si domanda se sia venuto il tempo di una crisi indiana e cinese.
Qualcuno paragona la crisi indonesiana del 1998 a quella greca dei giorni nostri ma, dice Krugman, “non c’è paragone tra le due crisi”. Prima di tutto perché l’Indonesia disponeva di una propria moneta e, lasciandola deprezzare ha consentito in una paio di anni di avviare una solida ripresa.
La Grecia invece non ha questa possibilità, essendo ancorata alla moneta euro dove non ha alcuna possibilità di optare per una sua svalutazione. In secondo luogo, è sempre Krugman a dirlo, perché nella crisi indonesiana gli organismi di cooperazione economica internazionale, cioè il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, pur imponendo all’inizio provvedimenti severi per ottenere la concessione degli aiuti economici, non hanno poi imposto le severissime regole di austerity che ora vengono imposte dalle autorità mondiali ed europee alla Grecia e ad altri paesi (tra cui l’Italia, ndr).
A ogni modo, Krugman tranquillizza sulla possibilità che la nuova crisi indonesiana possa ricalcare quella del 1990 dato che il debito verso l’estero dell’Indonesia di oggi, grazie ai maggiori investimenti provenienti dall’estero, pesa molto meno, e l’attuale discesa del valore della rupia attirerà in breve nuovi investitori.
Il vero pericolo, secondo Krugman, anche se la Cina lo preoccupa più dell’Indonesia, non arriva da Oriente. Il pericolo arriva dalle riforme di liberalizzazione fatte negli Anni 90, a cui non si riesce a porre rimedio e che in poco più di dieci anni stanno creando le condizioni per l’avvio di una crisi globale senza precedenti.
Aver combattuto le crisi finanziarie degli Anni 80 e 90 intensificando gli scambi commerciali e finanziari con le altre economie globali, specialmente quelle del cosiddetto “terzo mondo”, ha eliminato di fatto tutte le barriere e i controlli che regolavano la materia. L’effetto placebo ha presto lasciato il posto a una “reazione di rigetto”, creando i presupposti la bolla subprime.
Le banche hanno assunto dimensioni troppo grandi ma al contempo troppo poco capitalizzate, “rendendo impossibile (come dettano le regole di mercato) la via del fallimento” nel momento in cui il capitale netto della banca, unitamente alle riserve, non è piu in grado di coprire le perdite accumulate.
Sono invece state “spalancate le porte ad ogni tipo di azzardo e speculazione in borsa”, togliendo di fatto ai mercati quel “termometro” delle economie che era stato uno dei principali fattori nella crescita del libero mercato per tutta la seconda metà del secolo scorso.