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I conti non tornano e l’Europa bussa. Che fare?

Dopo l’Istat, Bankitalia, la Confindustria ed il Fondo Monetario Internazionale ci si mette anche la Confcommercio: l’agognata ripresa non ci sarà nemmeno quest’annoed il Pil registrerà, se tutto andrà bene, una crescita di un misero 0,3% (c’è però chi parla di una forbice tra -0,4% e +0,3%), più o meno la stessa percentuale prevista per l’aumento dei consumi grazie al bonus irpef.

Numeri freddi, che apparentemente non dicono granché. Il guaio è che sembrerebbero non dire alcunché neanche al giovane premier Renzi, che proprio qualche giorno fa ha sentenziato: “Se la crescita è 0,4 o 0,8 o 1,5 non cambia niente per la vita quotidiana delle persone“.

Chi vi ricorda? A me ricorda un signore che nel momento più burrascoso della crisi economico-finanziaria che dagli Usa stava pesantemente contagiando il Vecchio Continente se ne usciva con perle come questa: “Mi sembra che in Italia non ci sia una forte crisi. La vita in Italia è la vita di un Paese benestante, i consumi non sono diminuiti, per gli aerei si riesce a fatica a prenotare un posto, i ristoranti sono pieni“.

Si, si, proprio lui, ma ora dobbiamo tornare ai numeri, che a Renzi non dicono niente, ma agli italiani potrebbero da qui a poco dire molto. Nell’ultimo Documento di Economia e Finanza (Def 2014) il governo si è dato per l’anno in corso, in ottemperanza ai vincoli europei, i seguenti obiettivi: deficit in rapporto al Pil al 2,6%, debito pubblico al netto dei prestiti agli stati membri dell’Unione monetaria (EFSF) e delle quote versate al Fondo Salva Stati (MES) al 131,1 % del Pil, indebitamento netto strutturale (al netto delle una tantum e della componente ciclica) allo 0,6% del Pil.

Tali obiettivi sono stati fissati sulla base di una previsione di crescita del Pil pari allo 0,8%, una percentuale già allora definita “prudente”, che oggi, invece, si rivela addirittura sovrastimata. Tenendo conto che le percentuali di cui sopra derivano da un rapporto al cui denominatore c’è sempre la ricchezza nazionale (Pil), se quest’ultima si attesta al di sotto delle stime ufficiali a saltare è l’intera impalcatura dei conti pubblici, ovviamente in relazione ai vincoli ed alla governance europea. Si può quantificare il “buco” che tale situazione andrebbe a determinare? Quanti soldi servirebbero per riportare la situazione in equilibrio, rispettando i vincoli del patto di bilancio europeo?

Nelle ultime ore girano sui media molte cifre, in ogni caso oscillanti tra 10 e 20 miliardi di euro. Il governo nega, dal suo canto, il ricorso ad una manovra correttiva in autunno. Certo è che mezzo punto di Pil, quanto servirebbe per stare dentro le previsioni del Def, equivarrebbe più o meno a 8 miliardi di euro, avendo come riferimento il dato finale del 2013. E ancora non è chiaro come si chiuderà la partita delle coperture finanziarie relativamente ai “magnifici” 80 euro. Intanto il debito pubblico nel primo trimestre di quest’anno è salito al 135,6% del Pil (2170 miliardi), con un aumento in termini assoluti nel solo mese di maggio di ben 20 miliardi di euro.

Nel già citato Documento di Economia e Finanza, oltre ad una più rosea previsione sulla crescita del Pil, un’altra voce faceva da sfondo al quadro programmatico della finanza pubblica: le “riforme strutturali”, quelle “annunciate” e quelle “in parte avviate”.

Posto che l’esito recessivo, almeno in una prima fase, delle cosiddette “riforme strutturali” è fortemente probabile, qual è il loro stato di avanzamento? Il Financial Times, in queste ore, ricorda che Poste Italiane non sarà quotata in borsa quest’anno, ma l’anno prossimo e che sarebbe a rischio anche la privatizzazione del 49% di Enav, la società che gestisce la sicurezza dei cieli italiani. Il governo aveva previsto di incassare da queste operazioni 12 miliardi di euro, potrebbe racimolarne 5-6.

Resta sospeso il capitolo sul pareggio strutturale di bilancio. Nel Def di aprile, e con una apposita risoluzione approvata dal parlamento, se n’era spostato al 2016 il conseguimento. Com’è noto l’Ecofin, poi il Consiglio europeo, hanno bocciato il proposito del nostro paese. Se avessimo dovuto rispettare la scadenza del 2015, alle previsioni del Def 2014 sarebbero serviti già quest’anno altri 4 miliardi. Quanti ne servirebbero adesso che si stima una crescita vicina allo zero? Ma soprattutto: l’obiettivo dovrà essere centrato nel 2015 o nel 2016? Mi sembra che non sia una questione di poco conto.

Questo è lo scenario che abbiamo davanti mentre tutto il dibattito politico è sequestrato dal tema delle “riforme istituzionali”, che, a questo punto, non si capisce se servano soltanto a chiudere altri spazi di democrazia ovvero anche a distrarre l’opinione pubblica ed i media da questioni più scottanti come quelle di cui ci occupiamo in questo articolo.

I conti non tornano e l’economia ristagna, con livelli di disoccupazione da allarme sociale. Eppure, per stare nei parametri europei, in autunno sarà inevitabile rimettere mano ai conti pubblici. Nuovi tagli? Nuove tasse? Ma soprattutto: il paese reggerebbe a nuove e più massicce dosi di austerità? Negare che sia necessaria una manovra correttiva è legittimo, purché si dica qual è l’alternativa. A meno che il giovane premier non abbia in mente di passare dalle parole ai fatti, chiedendo una moratoria sui vincoli del patto di bilancio e sul Semestre europeo (Ciclo di coordinamento delle politiche economiche e di bilancio nell’ambito dell’UE). Staremo a vedere.

di Luigi Pandolfi

Scritto da Redazione

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