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La cultura muove 214 miliardi di euro l’anno

Economia della cultura: il Rapporto “Io sono cultura” 2014 rivela che la cultura muove 214 miliardi di euro l’anno

Muove il 15,3% del valore aggiunto nazionale, equivalente a 214 miliardi di euro. Tanto vale nel 2013 la filiera culturale italiana, un dato comprensivo del valore prodotto dalle industrie culturali e creative, ma anche da quella parte dell’economia nazionale che viene attivata dalla cultura, il turismo innanzitutto. È quanto emerge dal Rapporto 2014 “Io sono cultura – l’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi” elaborato da Fondazione Symbola e Unioncamere con la collaborazione e il sostegno dell’Assessorato alla cultura della Regione Marche, presentato oggi a Roma alla presenza del ministro Franceschini dal Segretario Generale di Unioncamere Gagliardi, dal Presidente di Symbola Realacci e dall’Assessore alla Cultura e al Bilancio Regione Marche Marcolini. L’unico studio in Italia che annualmente quantifica il peso della cultura nell’economia nazionale. Con risultati eloquenti: le industrie culturali e creative si confermano un pilastro del made in Italy. Tanto che durante la crisi l’export legato a cultura e creatività è cresciuto del 35%. E così mentre la crisi imperversa e un pezzo consistente dell’economia nazionale fatica e arretra, il valore aggiunto prodotto dalle industrie culturali e creative tiene, fa da volano al resto dell’economia e cresce anche la capacità attrattiva del settore rispetto alle donazioni dei privati. Nonostante il calo generalizzato del complesso delle ‘sponsorizzazioni’ registrato negli ultimi anni, infatti, quelle destinate alla cultura sono cresciute tra il 2012 e il 2013 del 6,3% arrivando a quota 159 milioni.
Entrando nel dettaglio dello studio – una sorta di annuario, per numeri e storie, realizzato anche grazie al contributo di circa 40 personalità di punta nei diversi settori, alla partnership di

Fondazione Fitzcarraldo e Si.Camera e con il patrocinio dei ministeri dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e dello Sviluppo Economico – emerge che dalle 443.458 imprese del sistema produttivo culturale, che rappresentano il 7,3% delle imprese nazionali, arriva il 5,4% della ricchezza prodotta in Italia: 74,9 miliardi di euro. Che arrivano ad 80 circa, equivalenti al 5,7% dell’economia nazionale, se includiamo anche istituzioni pubbliche e realtà del non profit attive nel settore della cultura. Ma la forza della cultura va ben oltre, grazie ad un effetto moltiplicatore pari a 1,67 sul resto dell’economia: così per ogni euro prodotto dalla cultura, se ne attivano 1,67 in altri settori. Gli 80 miliardi, quindi, ne ‘stimolano’ altri 134. Cifre che complessivamente arrivano, come anticipato, alla soglia di 214 miliardi di euro. Una ricchezza che ha effetti positivi anche sul fronte occupazione: le sole imprese del sistema produttivo culturale – ovvero industrie culturali, industrie creative, patrimonio storico artistico e architettonico, performing arts e arti visive – danno lavoro a 1,4 milioni di persone, il 5,8% del totale degli occupati in Italia. Che diventano 1,5 milioni, il 6,2% del totale, se includiamo anche le realtà del pubblico e del non profit.

“La cultura è la lente attraverso cui l’Italia deve guardare al futuro e costituisce il nostro vantaggio competitivo – commenta il presidente della Fondazione Symbola Ermete Realacci -. E’ grazie alla creatività e alla cultura, che nel nostro Paese si incrocia con la qualità, l’innovazione e le nuove tecnologie, se le imprese sono state capaci di incorporare bellezza e valore nel made in Italy. Così, mentre tutti dicevano che il nostro manifatturiero sarebbe morto sotto i colpi della concorrenza cinese, le imprese italiane sono riuscite a presidiare la fascia alta del mercato e aumentare il valore aggiunto dei prodotti. E il grande successo di eventi come il Salone del Mobile o Vinitaly lo testimonia. Ecco perché una vetrina globale come Expo 2015, se vuole guardare al bene del Paese e offrire al mondo uno sguardo rivolto al futuro, dovrà dare voce alle esperienze più avanzate di questo settore: puntando più sulle idee che sul cemento. E l’Italia non deve sciupare neanche l’occasione offerta dal semestre di presidenza del consiglio Europeo per tornare a esercitare un ruolo guida nell’unione e per integrare pienamente le politiche culturali all’interno di quelle industriali e della competitività, riconoscerne e accompagnarne il ruolo da protagonista nella manifattura e nell’innovazione competitiva e non più soltanto della fruizione turistica”.

“Anche quest’anno, l’analisi condotta da Unioncamere e Symbola dimostra che la cultura è e deve continuare ad essere il miglior combustibile per la ripresa”, sottolinea il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello. “I territori e le imprese, che di quelle tradizioni e di quella cultura sono espressione, rappresentano l’immagine del nostro Paese nel mondo intero: il nostro primo giacimento, capace di produrre ricchezza, lavoro e benessere per le comunità locali. Per ritrovare il suo spazio nel mondo, l’Italia deve perciò puntare sui suoi talenti, cogliere il potenziale delle nuove tecnologie per rilanciare i territori e il loro saper fare, investire sulla bellezza e sulla coesione che aiutano a competere, potenziare la ricerca per sostenere quella tensione innovativa che arricchisce di valore le nostre tradizioni produttive e le rende così un potente fattore competitivo”.

“L’idea che la cultura sia risposta alla crisi, leva di nuovo sviluppo, qualificazione del tessuto produttivo – spiega l’Assessore alla Cultura della Regione Marche Pietro Marcolini – è alla base della partnership che anche quest’anno si rinnova con la Fondazione Symbola e Unioncamere. Da questa collaborazione è nata la scelta delle Marche non solo come sede di una serie di iniziative ed attività, dal Festival della Soft Economy al Seminario estivo, ma anche come luogo dove presentare il Rapporto annuale. La nostra regione, grazie al percorso fatto in questi anni nell’innovazione delle politiche culturali e viste le conferme ricevute da diverse fonti di analisi, si pone come uno dei laboratori più in linea con l’intuizione di Symbola di ridefinire un settore produttivo fatto di cultura, creatività e manifattura culturale e d’individuarne le potenzialità di crescita. Il Rapporto di Symbola-Unioncamere si dimostra come uno studio originale e utile all’innovazione delle politiche culturali; esso fornisce una serie storico-statistica che consente una lettura ragionata dei sentieri di sviluppo intrapresi dai territori e del contributo che le industrie culturali e creative stanno apportando allo sforzo di uscire in forme nuove dalla crisi, in linea con le più avanzate esperienze europee e internazionali”.

 

Cultura, un comparto reattivo e innovativo che vola nell’export

Nonostante il clima recessivo – dovuto principalmente al crollo della domanda interna, che ha pesato, ovviamente, anche su questo settore – l’export legato a cultura e creatività continua ad andare forte. E durante la crisi è cresciuto del 35%: era di 30,7 miliardi nel 2009, è arrivato a 41,6 nel 2013, pari al 10,7% di tutte le vendite oltre confine delle nostre imprese. Il settore può vantare una bilancia commerciale sempre in attivo negli ultimi 22 anni, periodo durante il quale il valore dei beni esportati è più che triplicato. Il surplus commerciale con l’estero nel 2013 è di 25,7 miliardi di euro: secondo solo, nell’economia nazionale, alla filiera meccanica, e ben superiore, ad esempio, a quella metallurgica (10,3 miliardi).

La cultura piace anche ai privati: crescono le sponsorizzazioni

La maturità delle imprese culturali si misura anche dalla capacità di stare sul mercato, a prescindere dai fondi pubblici (fondamentali, ma sempre più scarsi). Proprio su questa frontiera il report di Symbola e Unioncamere segnala iniziative interessanti e promettenti. Come le sponsorizzazioni private: imprenditori illuminati, ma anche consapevoli delle ricadute sul loro brand, vestono i panni del mecenate e restituiscono alla loro bellezza beni come il Colosseo e la Scala di Milano, è il caso di Diego Della Valle, l’arco Etrusco di Perugia, grazie a Brunello Cucinelli, il Ponte di Rialto, il cui restauro è stato finanziato da Renzo Rosso, la Fontana di Trevi, grazie a Fendi. Una tendenza che sembra, fortunatamente, destinata a crescere. Nel complesso delle sponsorizzazioni private (1.200 milioni di euro nel 2013, tra sport, cultura e spettacolo e sociale) la cultura guadagna terreno: nonostante il calo costante del complesso delle donazioni registrato negli ultimi anni, il settore passa dai 150 milioni di euro del 2012 ai 159 del 2013: +6,3%. Si tratta del 13,3% delle sponsorizzazioni private del 2013, la quota più alta dell’ultimo triennio (era l’11,8% nel 2012, l’11,6% nel 2011). Tendenza che l’Art bonus appena approvato dal governo intercetta e tenta di rafforzare: sarebbe un importante cambio di passo per il nostro sistema culturale.
La cultura spinge il turismo

Uno dei maggiori beneficiari dell’effetto traino che la cultura ha sull’intera economia nazionale è il turismo. Il turista culturale che soggiorna in Italia, ad esempio, è più propenso a spendere: 52 euro al giorno per l’alloggio, in media, e 85 euro per spese extra, contro i 47 euro per alloggio e 75 per gli extra di chi viene per ragioni non culturali. Del totale della spesa dei turisti in Italia, 73 miliardi di euro nel 2013, il 36,5% (26,7 miliardi ) è legato proprio alle industrie culturali. E al richiamo della cultura, della bellezza e della qualità sono con ogni probabilità legate le ottime performance nazionali nel turismo. Se, infatti, leggiamo le statistiche in modo meno superficiale ci accorgiamo – come spiegano le ’10 verità sulla competitività italiana’ di Symbola, Unioncamere e Fondazione Edison – che siamo il primo paese dell’eurozona per pernottamenti di turisti extra Ue (con 54 milioni di notti). Siamo la meta preferita dei paesi ai quali è legato il futuro del turismo mondiale: la Cina, il Brasile, il Giappone, la Corea del Sud, l’Australia, gli Usa e il Canada.
Cosa si intende per cultura?

Il cuore della ricerca sta nel non limitare il campo d’osservazione ai settori tradizionali della cultura e dei beni storico-artistici, ma nell’andare a guardare quanto contano cultura e creatività nel complesso delle attività economiche italiane, nei centri di ricerca delle grandi industrie come nelle botteghe artigiane, o negli studi professionali. Attraverso la classificazione in 4 macro settori: industrie culturali propriamente dette (film, video, mass-media, videogiochi e software, musica, libri e stampa), industrie creative (architettura, comunicazione e branding, artigianato, design e produzione di stile), patrimonio storico-artistico architettonico (musei, biblioteche, archivi, siti archeologici e monumenti storici), e performing art e arti visive (rappresentazioni artistiche, divertimento, convegni e fiere). Al corpo centrale della ricerca, come anticipato, è stata inoltre affiancata anche un’indagine su tutta la filiera delle industrie culturali italiane, ovvero quei settori che non svolgono di per sé attività culturali, ma che sono altresì attivati dalla cultura. Una filiera articolata e diversificata, della quale fanno parte: attività formative, produzioni agricole tipiche, attività del commercio al dettaglio collegate alle produzioni dell’industria culturale, turismo, trasporti, attività edilizie, attività quali la ricerca e lo sviluppo sperimentale nel campo delle scienze sociali e umanistiche.
Geografia della cultura

Questo intreccio tra bellezza, creatività, innovazione, saperi artigiani e manifattura ha fatto di Arezzo la propria capitale. La provincia Aretina si conferma al primo posto sia per valore aggiunto, che per occupati legati alle industrie culturali (rispettivamente 9% e 10,4% del totale dell’economia). Nella classifica provinciale per incidenza del valore aggiunto del sistema produttivo culturale sul totale dell’economia, seguono Pordenone e Pesaro Urbino, attestate sulla stessa soglia del 7,9%, Vicenza al 7,7% e Treviso al 7,6%. Quindi Roma con il 7,5%, Macerata con il 7,3%, Milano con il 7%, Como con il 6,9% e Pisa con il 6,8%. Dal punto di vista dell’incidenza dell’occupazione del sistema produttivo culturale sul totale dell’economia, come anticipato, è sempre Arezzo la provincia con le migliori performance. Ma subito dopo troviamo Pesaro Urbino (9,1%), Treviso e Vicenza (entrambe 8,9%), Pordenone (8,6%) Pisa e Firenze (entrambe con 8,1%). E poi ancora Macerata (8%), Como (7,8%) e Milano (7,6%). Quanto alle macroaree geografiche, è il Centro a fare la parte del leone: qui cultura e creatività producono un valore aggiunto di 18,7 miliardi di euro, equivalenti al 6,2% del totale della locale economia valore aggiunto. Seguono da vicino il Nord-Ovest, che dall’industria culturale crea ricchezza per oltre 26 miliardi di euro, il 5,8% della propria economia, e il Nord-Est, che sempre dal settore delle produzioni culturali e creative vede arrivare 17,3 miliardi (5,4%). Staccato il Mezzogiorno che dalle industrie culturali produce valore aggiunto per 12,5 miliardi di euro (4%). La stessa dinamica che si riflette, con lievi variazioni, anche per l’incidenza dell’occupazione creata dalla cultura sul totale dell’economia. Passando alla Regioni, in testa alla classifica per incidenza del valore aggiunto di cultura e creatività sul totale dell’economia, ci sono quattro realtà in cui il valore del comparto supera il 6%: Lazio (prima in classifica con il 6,8%), Marche (6,5%), Veneto (6,3%) e Lombardia (6,2%), quindi Piemonte e Friuli Venezia Giulia (entrambe a quota a quota 5,7%), quindi Toscana al 5,3%, il Trentino Alto Adige al 4,8%, l’Umbria al 4,7% e l’Emilia Romagna al 4,5%. Considerando, invece, l’incidenza dell’occupazione delle industrie culturali sul totale dell’economia regionale la classifica subisce quale variazione: le Marche sono in vetta a quota 7,1%, segue il Veneto a quota 7%, quindi Lazio, Toscana e Friuli Venezia Giulia tutte e tre al 6,5%, Lombardia (6,4%) , Piemonte (6,1%), Valle d’Aosta (5,9%), Basilicata (5,5%), Trentino-Alto Adige (5,4%).
I settori, i trend

Alla performance del comparto cultura, sia in termini di prodotto che di occupazione, contribuiscono soprattutto le industrie creative e le industrie culturali. Dalle industrie creative arriva infatti il 47% di valore aggiunto e il 53,2% degli occupati, un risultato raggiunto soprattutto grazie alla produzione di beni e servizi creative driven e all’architettura. Dalle industrie culturali arriva un altro consistente 46,4% di valore aggiunto e il 39% degli occupati (in questo caso i settori più pesanti sono libri e stampa e videogiochi e software). Decisamente più bassa la quota delle performing arts e arti visive per entrambi i valori (5,2% v.a. e 6,1% occupazione) e soprattutto per le attività private collegate al patrimonio storico-artistico (1,5% e 1,6%).

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