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Juan Montiglio, l’italo-cileno capo della guardia di Salvador Allende

Juan José Montiglio Murúa, sposato con due figli, militante del Partito Socialista, membro della Guardia Presidencial di Salvador Allende,  fu imprigionato l’11 settembre del 1973, dopo l’uscita dell’ultimo gruppo di persone che si trovavano nell’interno della sede del governo, ovvero il Palacio della Moneda. Da quel momento di lui non si seppe più nulla.

Nato il 24 giugno del 1949 in seno ad una famiglia originaria della zona del Monferrato in Piemonte, da studente della Facoltà di Biologia di Santiago del Cile era diventato il capo della  GAP, la Guardia Presidencial del primo presidente marxista eletto col suffragio universale.

Il significato del termine GAP è: “Gruppo di amici personali” in allusione del proprio Presidente cileno.  Il suo ruolo era quello della protezione delle zone residenziali e delle postazioni presidenziali, utilizzando l’alias di Anibal Salcedo.

Il golpe cileno dell’11 settembre 1973 fu evento fondamentale della storia del Cile e della Guerra Fredda. Gli storici hanno da allora discusso su quello che è considerato uno degli avvenimenti più controversi del secolo scorso. Allo stesso modo tali eventi sono diventati un simbolo della guerra fredda come una guerra tra servizi segreti che hanno avuto effetti sconvolgenti sulla vita di milioni di persone.

Il generale Pinochet, alla guida dell’esercito, prese il potere con un colpo di Stato assediando il Palazzo Presidenziale, attaccandolo sia via terra che con i bombardamenti dagli aerei. 

Allende perse la vita nel corso dell’attacco, ma le tesi sulle modalità sono tuttora controverse tra quella ufficiale che suggerì si fosse suicidato con l’arma regalatagli da Fidel Castro e chi sostenne la tesi dell’assassinio da parte delle truppe di Pinochet durante l’irruzione finale all’interno del palazzo che stava difendendo.

Montiglio quel giorno si trovava nella residenza di Tomás Moro e alle ore 7.30 insieme al Presidente e altri 16 membri della GAP si dirigono alla Moneda.     Alle ore 11.00 cominciò il bombardamento che distrusse gran parte dell’edificio.

I membri della GAP e altre persone sono rimaste nel Palazzo finché non hanno ricevuto l’ordine di Salvador Allende di uscire. All’uscita di via Morandé sono stati neutralizzati dai militari fedeli a Pinochet che li impongono di stendersi al suolo con le mani alla nuca davanti ai carri armati.

Alle ore 18.00 i prigionieri vengono condotti al Reggimento Tacna, situato a circa 1 km dal Palazzo Presidenziale e che era sotto il comando del Colonnello Joaquín Ramírez Pineda.

Alcuni superstiti hanno raccontato che i prigionieri sono rimasti in tale Reggimento fino al giorno 13 settembre e che durante la detenzione furono obbligati a mantenere posizioni dolorose, calpestati dai militari che correvano su di loro, picchiati con le armi e sotto la minaccia di un’imminente esecuzione.

Alle ore 14.00 del 13 settembre 1973 i prigionieri con i piedi e le mani legati vengono lanciati ed ammucchiati sul cassone di un camion militare e condotti fuori del Reggimento Tacna con destino sconosciuto.

Si presume che i prigionieri siano stati portati per essere uccisi nella zona collinare di Peldehue, ma questa informazione  non è mai potuta essere  confermata.

Nel processo Plan Condor in corso in Italia, paese di origine di Juan Montiglio, si cercherà di ottenere quella giustizia e verità tanto dovuta. Preziose saranno a tale fine tutte le  testimonianze  sia quelle dei parenti che le tante altre inclusa quella della attuale Presidente del Senato Isabel Allende, figlia di Salvador Allende.

 di Mario Occhinero

Scritto da Redazione

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