L’Iraq non è mai stato un luogo pericoloso per un bambino quanto in questi ultimi mesi e anni. Guerra, insicurezza e tracollo economico negli ultimi tre decenni hanno significato, e significano tutt’oggi, gravissime privazioni per l’infanzia: secondo i dati dell’UNICEF, solo 1 bambino su 3 ha accesso all’acqua potabile, e 800 mila non possono frequentare una scuola.
Soltanto dal 2003 ad oggi sono oltre 1 milione i bambini rimasti orfani a causa della guerra e le violenze. Più di un milione di minori la cui sorte nei migliori dei casi è quella di andare via dal paese, per non finire nel vortice di disperazione e povertà che, spesso, costringe migliaia di giovani a finire alle dipendenze delle milizie armate.
Pochi infatti hanno la fortuna di essere accolti da persone come Husham e i suoi collaboratori, che solo con le proprie forze si prendono cura di 32 bambini in un orfanotrofio nel centro di Baghdad. La struttura non riceve l’aiuto né delle istituzioni né delle Ong. Viene portato avanti soltanto grazie alle energie di Husham e del suo team, che sentono di dover fare qualcosa per un problema che si aggiunge alla situazione già instabile della società irachena.
I bambini rappresentano, a loro modo, la complessità della società, appartenendo alle tante minoranze che caratterizzano l’Iraq, e che troppo spesso vengono indicate come la principale minaccia.
Ma i bambini sono solo bambini, ancora di più se orfani.
Parla di questo “In my mother’s arms”, film documentario del 2011 (82min), del regista Mohammed Al-Darraji – autore tra l’altro del film di successo “Son of Babilon” – che Osservatorio Iraq e Nuovo Cinema Palazzo presenteranno a Roma per la prima volta il prossimo 18 giugno grazie alla collaborazione de AL ARD [doc] film festival 2013 di Cagliari e promosso dall’Associazione Sardegna-Palestina.
C’è la storia del giovane Saif, che ha perso entrambi i genitori coinvolti in un attacco dinamitardo, episodio che ha visto con i propri occhi e che influisce inevitabilmente sulla sua quotidianità. Chiamarlo con il nome della madre, Aicha, un gioco infantile che i compagni di orfanotrofio trovano divertente, significa ogni volta ricordare quel dramma, che si trasforma in rabbia contro tutti e tutto.
Ma c’è anche la storia del padrone della struttura, che non vuole sentire ragioni e che manderà via i bambini di Husham se non pagheranno l’affitto. “In my mother’s arms” è anche questo, specchio di una realtà complessa per tutti, e per i minori e i più vulnerabili ancora di più.
In questi anni l’Iraq è anche divenuto il paese che è tra i primi al mondo per numero di cittadini rifugiati all’estero (oltre 2 milioni tra Siria e Giordania), a cui si aggiunge circa 1 milione di sfollati interni, numero drammaticamente accresciutosi negli ultimi mesi.
Prima la crisi nella provincia occidentale di Al-Anbar e negli ultimi giorni l’occupazione della città di Mosul, Tikrit, alle quali si aggiungono nelle ultime ore anche Salahuddin e Dyala: il governo centrale continua a perdere il controllo di pezzi importanti del paese a discapito dell’ISIS (Stato islamico dell’Iraq e del Levante), gruppo armato islamista che nell’ultimo anno ha rafforzato la sua opposizione a Baghdad.
E mentre la situazione irachena attuale è in continua evoluzione, la popolazione civile cerca rifugio. Lo fa fuggendo in qualsiasi modo, provando a raggiungere la regione kurda, a nord, dove gli spari, le esecuzioni sommarie, le autobombe sembrano essere lontani.
Sembrano, perché pochi giorni fa si sono aggiunti ai combattimenti anche i peshmerga, le forze di sicurezza del Kurdistan, intervenute per riconquistare la città di Kirkuk dal controllo dell’ISIS. E anche in questo caso la gente ha avuto la reazione istintiva di scappare.
Un’azione naturale, come naturale è per un bambino cercare sicurezza tra le braccia della propria madre. Ce ne sono tanti, tantissimi di minori che abbracciano le loro mamme durante le lunghe ore di attesa ai checkpoint.
“La situazione che i bambini devono affrontare è estremamente allarmante. Le loro vite sono state distrutte da un giorno all’altro da un’escalation di violenze”, ha dichiarato Marzio Babille, rappresentante UNICEF in Iraq. Migliaia di bambini hanno trovato rifugio in scuole, ospedali e moschee fuori Mosul; molti di loro non hanno acqua, adeguati servizi igienici o ripari dal caldo torrido. “La situazione è terribile e può peggiorare in ogni momento”, ha detto Babille. “Dobbiamo raggiungere i bambini con acqua potabile, ripari, cibo e protezione – non possono aspettare”.
Il 18 giugno a Roma, nella sede del Nuovo Cinema Palazzo (piazza dei Sanniti, 9/A – zona San Lorenzo), si parlerà di Iraq.
Farlo in questo periodo storico è importante, ma lo è ancora di più se a proporre di parlare sono due soggetti che l’Iraq l’hanno sempre visto da vicino. Condurrà la serata Stefano Nanni, redattore di Ossevatorio Iraq e addetto stampa di Un ponte per…, da anni impegnati entrambi nel far conoscere la realtà irachena, da un lato attraverso un’informazione dal basso costante, dall’altro con numerosi progetti di solidarietà realizzati in Iraq negli ultimi 20 anni, tra i quali non è mancato un appello umanitario lanciato d’urgenza subito dopo l’occupazione di Mosul.
da: http://www.osservatorioiraq.it/