di Maurizio Simoncelli*
Le notizie riportate da La Repubblica e da “The Intercept” sulle 550 azioni di attacco da parte di droni militari statunitensi in Libia, con base operativa a Sigonella in Sicilia, pongono in modo evidente alcune questioni di rilievo per il governo italiano, che devono essere affrontate.
In primo luogo si riscontra l’assenza d’informazione pubblica sulle azioni militari di attacco in partenza dal nostro suolo nazionale, che comportano comunque forme di corresponsabilità per il nostro paese, soprattutto nel caso in cui risultino vittime civili.
Si tratta dei cosiddetti “danni collaterali”, che – in altri teatri di guerra – secondo la National Intelligence Agency statunitense oscillavano tra il 3 e il 4%, mentre secondo altre fonti indipendenti (Bureau of Investigative Journalism) erano tra l’11 e il 15%. Inoltre l’attacco dei droni, non condotto durante una situazione di guerra conclamata, espone a rischi elevati la sicurezza dei civili, che non possono cercare preventivamente rifugio.
In secondo luogo nel caso delle cosiddette “esecuzioni extragiudiziali”, eliminazioni mirate di individui ritenuti terroristi o comunque avversari pericolosi e attuate non in situazioni di guerra aperta, pongono forti interrogativi in merito a questa pratica di condanna a morte. Se nel nostro Paese la pena di morte è abolita, di fatto si collabora alla sua applicazione da parte di un altro Stato in un Paese terzo.
In terzo luogo, avendo l’Italia droni militari Reaper e Predator che a breve saranno dotati anche di armi da attacco, appare urgente e necessario che Governo e Parlamento definiscano in modo chiaro e trasparente le aree d’intervento, il quadro giuridico utilizzato, le procedure della catena di comando e le relative responsabilità, dato che i droni consentono più facilmente azioni di guerra senza impiego di truppe sul relativo teatro, nonché anche “esecuzioni extragiudiziali” non contemplate dal nostro ordinamento.
*Vicepresidente Iriad – Archivio Disarmo