di Giuseppe Aloise
“La sinistra deve ricostruire il proprio profilo politico e culturale anche promuovendo una analisi seria, con conseguenti proposte, sui temi della coesione nazionale e della questione meridionale”.
Così, in una recente intervista, chiarisce la sua posizione sul tema della cosiddetta autonomia differenziata non già un governatore del Sud o un esponente meridionale del Pd ma Enrico Rossi, presidente della Toscana che rifiuta le suggestioni autonomistiche e respinge nettamente la secessione silenziosa dei ricchi.
Su questo argomento, soprattutto al sud, occorre rifiutare polemiche che farebbero arretrare il dibattito a mero rivendicazionismo né prefigurare allarmisticamente scenari di dissoluzione dell’unità nazionale.
La cosa migliore è partire dai fatti.
Nel febbraio dello scorso anno la Lombardia, il Veneto e l’Emilia Romagna, attraverso i rispettivi Presidenti hanno sottoscritto distinte intese con il Governo Gentiloni per l’attribuzione di particolari forme di autonomie alle relative regioni in ossequio all’art. 116, 3° comma della Costituzione. Le intese hanno individuato le materie prioritarie nelle Politiche del lavoro, Istruzione, Salute , Ambiente e Rapporti internazionali e con la UE. Per mascherare una sorta di autonomia “ à la carte” si è fatto ricorso nei documenti esplicativi ad una terminologia geometrica evocando “ l’asimmetria lineare” in vista di altre richieste da parte di altre regioni nel quadro di una “differenziazione parallela”.
L’applicazione dell’art. 116 “à la carte” esprime meglio il processo autonomistico costituzionale delle intese sottoscritte. V’è un menu composto da più opzioni ove ciascuna regione può scegliere quelle più conformi alle proprie scelte come se si fosse al ristorante. Ciascuno sceglie piatti di proprio gradimento con una sola differenza che al ristorante le scelte vengono smaltite dalla cucina anche se variegate e incompatibili fra loro, mentre al tavolo del federalismo differenziato o asimmetrico le scelte devono essere ricondotte ad un contesto unico nel rispetto dell’interesse nazionale a prova di compatibilità con le risorse disponibili.
Ormai le intese sono state sottoscritte. Cosa potrà accadere nel prosieguo? In proposito è illuminante il parere fornito dal Prof. Antonio D’Atena in sede di audizione sull’attuazione dell’art. 116 ( Commissione Parlamentare per gli affari regionali) . Il prof D’Atena sostiene che una volta intervenuta l’intesa il Parlamento non può fare altro che “ varare una legge di approvazione in senso tecnico, del tipo prendere o lasciare, senza emendamenti”.
E, dunque, il testo delle tre leggi da approvare, sarebbe la riproposizione dell’intesa di Gentiloni con le tre regioni.
Sotto questo profilo, Roberto Maroni, paventando il pericolo che il M5S possa boicottare l’autonomia . in una recentissima intervista ha affermato testualmente : “Il 28 febbraio dello scorso anno abbiamo strappato un accordo favorevole, il governo oggi deve far approvare in Parlamento la legge sull’autonomia così com’è, senza che le camere la stravolgono.”
E, dunque, l’intesa è frutto di una scelta operata dal Governo Gentiloni sicché il gruppo dirigente del PD che si è auto conservato, non può ora improvvisare anatemi contro l’autonomia differenziata: si rischia di cadere nel ridicolo.
Il problema vero sono le risorse. Per l’esercizio delle funzioni trasferite occorre, naturalmente, determinare l’attribuzione alle regioni delle risorse umane e,soprattutto, finanziarie. Il tutto viene rinviato ad una commissione paritetica Stato-Regione. A me pare che questo sia l’aspetto decisivo e determinante per il rafforzamento del regionalismo responsabile in un quadro di coesione nazionale.
L’intesa del 28 febbraio ha, però, già fissato alcune linee-guida. In via prioritaria si afferma che per consentire la gestione delle competenze trasferite o assegnate si ipotizza la “compartecipazione o riserva di aliquota al gettito di uno o più tributi erariali maturati nel territorio regionale”.
Quanto alla spesa storica sostenuta dalla Stato per le stesse funzioni si ipotizza che essa vada definitivamente superata, mentre si sottolinea la necessità che si proceda alla definizione dei cosiddetti fabbisogni standard. La determinazione di questi valori è forse l’aspetto più delicato sul quale ci si dovrebbe confrontare con una maggiore comprensione dei dati disponibili e soprattutto “del gettito dei tributi maturati nel territorio regionale”.
L’autonomia differenziata è ormai un dato irreversibile che non può essere ridotta ad una sorta di secessione dei ricchi. Le regioni meridionali sono chiamate ad un grande sforzo di responsabilità per gestire una fase delicatissima del neo regionalismo. In questi giorni sta per essere ricordato Luigi Sturzo che intravide nell’autonomia il riscatto del Mezzogiorno.
Come ha ricordato in un suo recente contributo Franco Petramala, l’occasione del centenario dell’appello ai liberi e forti di Don Sturzo non può ridursi ad un mero fatto celebrativo. Le parole di Sturzo sulla necessità che i meridionali si facciano carico dei loro problemi sono di grande attualità. Occorre, quindi, una riflessione autocritica sul regionalismo così come lo abbiamo sperimentato in Calabria e nel mezzogiorno che è la pre-condizione per non subire l’iniziativa degli altri.
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